1982 settembre 6 Saronni campione del mondo

1982 settembre 6 – Saronni campione del mondo

Calcio mundial, ciclismo mondiale! Il grande orizzonte dello sport di popolo è nel
1982 tutto italiano. Dalla Nazionale a Giuseppe Saronni, questo Paese, che non riesce
ancora a far partire lo Sport dalla Scuola, è tuttavia sempre capace di exploit
internazionali che fanno razzia di aggettivi. Lo «straordinario» sta qui, per usare
l’aggettivo di Franco Carraro.
Giuseppe Saronni ha vinto sprintando, e non sarebbe potuto essere altrimenti, perché
lui la velocità la porta dentro, negli occhi pieni di opinioni, nelle battute senza
ipocrisia, in quella muscolatura snella e vibrante che lo fa assomigliare a un Tardelli
del ciclismo.
In Saronni non corre il ciclismo antico. Anzi, è il campione contemporaneo,
lontanissimo dal «ciao mamma», esemplare d’uno sport contadino via via evolutosi
dentro la civiltà delle automobili.
Quando vincono i Merckx o i Moser, gli Hinault o i Saronni vuol dire che il ciclismo
non sopravvive a se stesso, ma vive.
Ha meno leggenda che nel passato, ovviando al calo di tensione con la sublimazione
della tecnica. La pedalata d’un Saronni è distillata: non fosse per le perline di sudore
che gli scivolano sulla pelle rasata, parrebbe un calco, una protesi. La gamba senza
fatica, a tutto stile, delle cronometro di Fausto Coppi.
Ci sono regioni in Italia che il ciclismo lo possono amare più intensamente che
altrove. É il caso del Veneto, che resta negli anni vivaio, circuito, velodromo, tappa,
perfino cultura della bicicletta, qui munita di ogni tipo di percorso, l’asfalto piatto, il
dondolio delle colline, il cuore in gola delle interminabili rampe di montagna. Quando
vince uno come Saronni non c’è campanile che tenga: è una vittoria di tutti, negata
soltanto ai meschini. Se lo sport non distribuisce intorno a sé questa dose di unanime
allegria, perché mai dovrebbe essere utile praticarlo?
Il mundial di calcio in Spagna portò, il giorno della finale dell’Italia, 37 milioni di
telespettatori agli schermi della Rai. Uomini politici e commentatori politici
osservarono nel diapason del calcio significati che superavano lo sport nella riscoperta
di un nazionalismo forse ingenuo, ma almeno capace di seppellire per un lungo attimo
le innumerevoli angosce del nostro quotidiano. Lo sprint di Saronni ripercorre quelle
piacevoli sensazioni, anche se non le riproduce, perché il calcio ha tutt’altra capacità
di mobilitazione.
E poi l’aria è oggi troppo tragica intorno a noi perché un bellissimo pomeriggio di
sport riesca a inalberare le bandiere. Ieri, sui campi di calcio della Coppa Italia si
poteva supporre che l’industria dell’evasione avrebbe dedicato almeno un mezzo
minuto di memoria e di riflessione sull’assassinio di Palermo, abituando la gente a
sentirsi sempre nel circuito della vita, fuori di ogni smemoratezza. Ma il calcio vive
ahimè dentro la sua puerile, devota, imbecille autonomia.
Questo è il Paese dello sdegno rituale o privato, Le «pause di riflessione» possono
riguardare i miliardi di un gasdotto, non certamente disturbare, nemmeno con un
mezzo minuto di raccoglimento, il calcio di massa. In fondo a Palermo non è successo
niente; soltanto un carabiniere in più morto ammazzato.
La Coppa Italia ha ben altro a cui pensare.