1983 Aprile 12 Bearzot di parola Bettega

1983 Aprile 12 – Bearzot di parola : Bettega

Vecchio che va, vecchio che viene: non c’è Causio, torna Bettega. I terribili trentenni della Juve
“storica” percorrono strade diverse: pur giocando in provincia, Causio riuscì ad andare al Mundial
come riserva per così dire spirituale che si divise tra la disponibilità in panchina e un lavoro di
stimoli in spogliatoio. Bettega non andò al Mundial perché ancora in rodaggio dopo un terribile
infortunio ma ritorna ora a Bearzot in virtù di classe e, soprattutto, di allenamento, di
professionalità.

Appaiono naturali sia la rinuncia a Causio che il ricorso a Bettega: non uno scambio tra “padrini”
bensì un dosaggio che guarda alla forma dei due campioni e alla delicatezza della trasferta a
Bucarest. Lo stesso ripescaggio di Dossena era dovuto e sarà utile, a dimostrazione che certe
parabole discendenti di Tizio o Caio vanno giudicate con molta prudenza quando si ha a che fare
con giocatori di assodato talento. E’tale Dossena, il più vicino alla figura del regista classico
spartitraffico degli schemi.

Oltre all’espulso Causio non si legge tra i convocati l’infortunato Oriali: tra dismessi e richiamati,
cambia parecchio anche se l’attesa maggiore riguarda altri giocatori, segnalatisi in questi tempi per
macchie solari.

Il derby suicida con il Torino ha tolto al (grande) Scirea una certa confidenza in sé. Fischiato per
qualche oblio post- Mundial e per i soli due goal fatti finora in campionato, Conti sta vivendo un
amaro rapporto con il suo pubblico. Domenica scorsa ha confessato: “Ho capito che per certe
persone io sarei l’unico a non meritare lo scudetto della Roma”.

Fratelli d’Italia, l’Inno di Mameli non cambia. Coreani o campioni del mondo, siamo sempre alla
solita fanfara, tra pomodori, iperboli, sangue agli occhi o baciapiedi. Il bello della Nazionale è di
sentirsi sempre tra l’ovazione e lo sbranamento, tanto che soltanto Bearzot sembra preoccuparsi
della Coppa Europa. Per gli altri, il calcio resta una magnifica zuffa che non lascia cicatrici: se
l’Italia vince, abbiamo vinto; se perde, hanno perso. Sarà così anche a Bucarest.