1990 settembre 9 Se anche la protesta perde l’occasione buona

1990 settembre 9 – Se anche la protesta perde l’occasione buona

Le Leghe farneticano sulla storia e la partitocrazia ringrazia

Di fronte al fenomeno delle Leghe o Lighe, noi non abbiamo mai patito
pregiudizi, né storici né politici. Per almeno due buonissime ragioni: le Leghe
mettono elettoralmente a nudo lo sfacelo ideale della partitocrazia; e
drammatizzano l’istanza di autonomia, tuttora incompiuta a dispetto della stessa
Costituzione. Sono entrambe funzioni utili.
Soltanto gli sprovveduti ritengono che in politica la «protesta» abbia scarsa
dignità, dimenticando che la partecipazione alla democrazia può essere
conflittuale: nelle regole, ma contestatrice di un potere oggi troppo attento a
perpetrarsi nei suoi privilegi per privilegiare i cittadini. Se non costruisce la via
diretta, la protesta governo delegando l’insofferenza delle istituzioni.
Le Leghe sono figlie legittime di questa Italia, alla quale non resta che darsene
ragione. Quando anche rappresentassero soltanto la malattia del sistema, altra
medicina non c’è che la seria analisi del crescente malessere. In particolare per
quel che riguarda l’autonomia, il decentramento locale, la modernizzazione
dello Stato attraverso la stessa rivoluzione culturale che sta investendo il mondo
produttivo.
Se dal Giappone agli Usa all’Europa la domanda di qualità impone la
trasformazione dei «dipendenti» in «collaboratori» e ridistribuisce il potere tra
imprenditore e dipendente, l’economia – come hanno insegnato Ricardo e Marx
– travolgerà alla svelta anche la forma di organizzazione dello Stato.
Specialmente in Italia, dove l’arretratezza del rapporto tra diritti e doveri, tra
servizio pubblico e cittadini rischia di vanificare il portentoso balzo in avanti
del dopoguerra e di bloccare il nostro accesso all’Europa.
Uno Stato burocratico e centralizzato perde di giorno in giorno efficienza. Non
solo: logora e svilisce il senso di «bene pubblico», fino a fomentare le forme più
cieche di qualunquismo e di rassegnazione. Qui, l’autonomia andrebbe rivista
come strumento per per restaurare la credibilità dello Stato, non come arma per
azzerarlo.
Ma le Leghe sembrano non curarsene. Deformano Garibaldi, il tricolore, Cesare
Battisti, il Risorgimento; banalizzano la Storia, discutono sul sesso degli angeli,
rendono salottiera una protesta che i suoi quarti di nobiltà li aveva semmai
rivendicati su base popolare. Ignorano oltretutto che nuove unità si sono
intessute dopo l’Unità attraverso il sangue comune di due guerre mondiali,
attraverso la migrazione di braccia da sud a nord, attraverso una società per
definizione comunicativa e sempre più negata, alle barriere.
I partiti non riescono a far tesoro della protesta lavorando per nuovi valori di
democrazia; la protesta scade, come denunciò Spadolini, a passatismo. Dove sta

la riforma, che altro non è se non il domani possibile?