1990 marzo 4 Far West addio

1990 marzo 4 – Far West addio

Qualcuno ritiene che il Nordest non esista, poiché sarebbe frutto di un arbitrario
scambio tra la speranza (dell’integrazione) e la realtà (della frantumazione).
Certo, i ritardatari e i conservatori sono per definizione condannati ad
accorgersi dei mutamenti soltanto a cose fatte: manca loro l’umiltà la forza
d’animo che servono a governare l’evoluzione. Sono i notai del fatto compiuto.
Diventa assai più utile lavorare sui dati di accelerazione; riflettere ma non
perdere gli appuntamenti. In questo senso noi segnaliamo da tempo che il
Nordest esiste; che anzi ha urgenza di rendersene del tutto conto; che quest’area
avrà occasioni speciali in Europa. Ci conforta anche un giudizio espresso l’altro
ieri ad Abano dal prof. De Rita: «Il Nordest – ha detto il presidente del Cnel al
nostro Jori – sta nel crocicchio più importante d’Europa dei prossimi 50 anni».
De Michelis immagina un’asse Barcellona – Trieste; lo stesso De Rita
intravvede uno sviluppo lombardo-veneto da Milano a Udine e Trieste;
Cremonese candida il Veneto a una «sfida continua»; Biasutti avverte attorno al
Friuli-Venezia Giulia il rinato vento mitteleuropeo. Le visioni rischiano sempre
di sconfinare nel visionario, ma qualcosa di realistico c’è e si vede: la comune
coscienza che chi assiste passivamente al movimento resta tagliato fuori, ai
margini, incapace di capire e di progettare sui fatti.
Anche l’opposizione post-comunista non muove su questa prospettiva la
minima obiezione. Di recente in Venezia Giulia l’on. Pellicani ha non a caso
ricordato che, secondo la definizione di Winston Churchill, la cortina di ferro
andava «da Trieste al Baltico». Come dire che, se la cortina e il muro e le
scellerate influenze di Yalta sono caduti, proprio Trieste e il Nordest si trovano
ora ad essere l’avamposto di un mondo tutto da reinventare.
Se tutti sono d’accordo, dove sta allora il problema? Il socialista Carraro teme
per il Veneto «4 stop» che sarebbero il degrado ambientale, le scarse
infrastrutture, le città che non funzionano, la disattenzione verso gli anziani; la
Dc veneta lamenta la perdita del ruolo-guida di Venezia, quella friulana uno
strisciante attacco alla «specialità» della regione di frontiera. Ma il problema è
ancora più esteso, meno settoriale: il policentrismo tende a diventare patologico.
Quella che fu una febbre privata capace di produrre uno straordinario benessere
pubblico, oggi ha bruciato tutte le risorse dello spontaneismo. Paradossalmente,
il merito storico dei politici veneti fu nel dopoguerra di non programmare,
lasciando carta bianca agli imprenditori anche di primissima generazione. Quasi
un Far West economico dal quale spuntarono prima i capannoni, poi le imprese,
quindi le ristrutturazioni e la tecnologia, alla fine i mercati sempre più
competitivi.
Oggi l’intera area triveneta sente che nessuno può più farcela rimboccandosi le
maniche; occorre che funzioni il sistema. Se ieri la mano pubblica avrebbe
disturbato il guidatore, oggi diventa fondamentale. Il servizio di ieri fu
l’astensione dal privato; l’intervento di oggi sono i servizi pubblici.
Per carità, non facciamo i provinciali: questa è una grande questione italiana.
Ma qui, nel Nordest, viene doppiamente avvertita perché la formidabile crescita
si è accompagnata a una crescente frammentazione di risorse e di interventi.
Mentre tutti si rendono conto che l’Europa spinge ad attrezzare al meglio l’area
del suo complesso, imperversano tuttora il cretinismo campanilista e il
cannibalismo partitico.
Un tracciato d’autostrada può dipendere dagli equilibri di corrente del partito di

maggioranza; lo stoccaggio dei fusti (prodotti dal Veneto!) della Jolly Rosso
rivela una scandalosa impreparazione culturale e istituzionale; accessi a città
quali Padova o Mestre, arterie vitali, snodi decisivi del trasporto, sono quasi al
collasso anche perché la coperta regionale si strattona da decenni nel nome dei
più ciechi interessi provinciali e di sottopotere.
Il Nordest esiste, e ad attenderlo c’è l’Europa, ma la retorica dei «modelli» non
serve più. Dietro l’angolo c’è di tutto, persino la decadenza.