1990 maggio 27 Scandalo ed eleganza

1990 maggio 27 – Scandalo ed eleganza

«La vera pittura non è sempre capita», ha osservato Emilio Vedova, profetico artista
di segni e di parole che nell’«Ambiente Berlin» onora la Biennale. Ma è fin troppo
facile capire quello spazio di «Aperto 90» alle Corderie dove si associa il Papa
all’Aids contrapponendo l’immagine di Giovanni Paolo II a quella di un fallo,
proprio perché di pittura non si riscontra traccia, né vera né falsa.
L’arte non può che essere libera, ma lì l’arte non abita. E dunque di quale libertà
artistica si deve mai discutere? Il solo argomento serio riguarda semmai la pubblicità
come autopromozione; la speculazione sulla notorietà. Non lo scandalo delle grandi
trasgressioni, attraverso le quali artisti in anticipo sui tempi rompono il conformismo
e scoperchiano i nostri sepolcri imbiancati. No, qui lo scandalo è di piccola
esibizione, assomiglia ai graffiti che popolano i cessi pubblici e le pareti delle
metropolitane.
Noi che l’anno scorso difendemmo la religiosità del film di Martin Scorsese contro
ogni lettura bigotta, anche questa volta non avremmo nemmeno scomodato i
magistrati per accertare eventuali reati.
Quando mai il codice penale ha gli strumenti per separare la mancanza di riguardo al
vilipendio, la licenza dall’osceno, un pannello da tassa sulle affissioni da un
messaggio palesemente ambiguo?
Più che far scandalo, c’è da riflettere su certi meccanismi della comunicazione
quando, autonomamente, impongono un linguaggio di fronte al quale la cultura o si
astiene (in nome della libertà) o legittima (per complesso di censura). In entrambi i
casi, l’equivoco ratifica un’arte che non è, in ogni caso, l’arroganza intellettualistica
di chi ritiene che il valore artistico possa di per sé banalizzare altri valori non meno
degni di protezione.
Il presidente della Biennale ha definito l’assemblaggio tra Papa e Aids «un’opera di
terz’ordine indegna dell’esposizione»; il direttore del settore delle arti visive ha
lamentato che «il buon gusto non esiste più»: chiediamoci allora se il buon gusto sia
un sentimento laico o bacchettone, se il Capo della Chiesa cattolica o il Dalai Lama
meritino il rispetto dovuto a un comune cittadino, se un Capo di Stato come il Papa
debba o no contare, nello spazio aperto di un ente pubblico italiano, su quel minimo
di garbo che dobbiamo anche all’inquilino della porta accanto.
Lo scandalo sta tutto qui: nella perdita di eleganza. Un’arte presunta e triste.