1990 giugno 13 Accendere un altro motore

1990 giugno 13 – Accendere un altro motore

Che non esistesse più, lo si sapeva già; mancava soltanto l’annuncio ufficiale. Ora
c’è anche quello: l’Esposizione Universale del Duemila sarà o tedesca (Hannover)
o canadese (Toronto), non più italiana. Nel panorama espositivo del prossimo
decennio, accanto a Siviglia, Genova, Vienna e Budapest, non risarà il Veneto con
Venezia.
Pur consapevole di far brutta figura presso il Bie, il Governo non aveva altra strada,
per coerenza con quanto affermato da Andreotti la scorsa settimana alla Camera. Il
presidente del Consiglio aveva chiarito che «condizione imprescindibile» della
candidatura era il consenso del Comune di Venezia, della Regione Veneto e del
Parlamento. Il primo non c’è, il terzo è venuto a mancare sia al Senato che alla
Camera; quanto alla Regione, il suo sì aveva perso già da tempo lo smalto delle
prime sortite. Quindi, amen.
Diciamoci ancora una volta la verità: l’opinione pubblica veneta ne aveva piene le
scatole di questo scontro sull’Expo. Un po’ perché nessuno aveva precisato progetti
e contenuti; un po’ perché l’inusitata passionalità faceva giustamente sospettare
interessi eccessivi e ignobili personalismi; un po’ perché perché il rapporto tra
Venezia e il Veneto è oggi più che mai ambiguo e volge semmai al peggio. Perciò
l’idea dell’Expo è raramente uscita dall’astrazione; una intenzione suggestiva in un
corpo alieno, tanto da favorire il massimo della strumentalizzazione e il minimo
della conoscenza.
Se si entra nella logica degli «affari», non se ne uscirà più. Qualcuno poteva
certamente fare gli affari con l’Expo, ma qualcuno può anche immaginare che
sull’area veneto-veneziana affari persino migliori si possano realizzare alla
spicciolata, senza un progetto organico magari coordinato da un commissario
governativo. Il punto allora è un altro: se non servono le «occasioni» e se tutti
rifiutano la logica dell’«emergenza», chi guiderà Venezia a uscire dalle «sabbie
mobili» (ministro Prandini), chi solleciterà i processi di «innovazione» (Guillon
Mangilli), chi farà sintesi tra un Veneto progettuale e una Venezia che s’interroga
già ora drammaticamente sul suo rischioso destino di casbah disumanizzata dal
turismo senza vincoli?
Il dopo Expo segna la fine di una rissa e di un alibi. Non basta dire no al motore
artificiale dell’Expo; da oggi la politica dovrà pur accenderne un altro. O no?