1990 agosto 26 Siamo tutti allo scoperto

1990 agosto 26 – Siamo tutti allo scoperto

Il Golfo spoglia il mondo. La crisi fotografa spietatamente l’avvento della
complessità totale, il passaggio da un ordine decrepito a equilibri ancora in
gestazione. Non fosse per i tragici prezzi in ballo, la storia dà addirittura
spettacolo.
Per la prima volta riscopriamo una verità banale e rimossa: chi ha vinto e chi ha
perso la seconda guerra mondiale. Finito l’ombrello dello schema dei due
blocchi, ciascuno si è ritrovato di colpo allo scoperto. Stati Uniti, Inghilterra e
Francia, sono intervenuti nel Golfo in piena autonomia; Gorbaciov ha guidato
una manovra diplomatica senza precedenti per l’Urss, piegando l’Onu fino ad
avallare la mozione di embargo duro contro l’Iraq patrocinata dagli occidentali.
Usa, Inghilterra, Francia, Urss: decidono le quattro potenze vincitrici nel 1945.
Praticamente disarmato, il Giappone non ha nemmeno aperto bocca. La
Germania è impedita nella sua stessa costituzione dallo spingersi militarmente
oltre l’ambito territoriale della Nato. L’Italia ha fatto l’impossibile per ritardare
l’invio di poche unità di pace secondo la precauzione di Andreotti, Rognoni e
Occhetto, soli autentici interpreti del disimpegno dell’italiano medio. Giappone,
Germania, Italia: sono tutt’altro che a caso i tre Paesi che hanno perso l’ultimo
conflitto mondiale. La quotidiana immersione nella cronaca fa troppo spesso
trascurare le ragioni della storia, compresi il suo opportunismo, le onde lunghe ,
anche le apparenti viltà di Stato.
Nessun Paese dipende dal petrolio del Medio Oriente quanto – in ordine di barili
– il Giappone, la Germania, e l’Italia che occupano tre fra i primi sei posti del
mondo industrializzato. Eppure sono soltanto tre buoni «alleati di pace» come
già li chiamano in America; se c’è da rischiare o tanto peggio da sparare,
tornano ad essere tre paesi sconfitti, ancora privi di una politica estera nemmeno
lontanamente paragonabile al peso economico riconquistato
in campo
internazionale.
Visti i… precedenti di mezzo secolo fa, il fatto non può che tranquillizzarci ma
sarebbe buffo dimenticarlo quando si analizzano gli atteggiamenti di fronte alla
crisi del Golfo. Perciò, volenti o nolenti, gli Usa sono tuttora condannati dalla
storia a farsi carico anche delle nostre fonti di energia e a spendere cento
miliardi al giorno nella riedizione potenziata dello sbarco in Normandia per
garantire lo sviluppo soprattutto di Giappone e Germania. Le forze in campo
non consentirebbero altrimenti; il resto è tabulazione sul nulla, all’italiana.
Nonostante la fine dei blocchi, l’Occidente continua ad essere un’unità
indivisibile con la differenza che nella crisi del Golfo il guardiano americano
comincia a sentirsi contemporaneamente padrone e sfruttato. Quindi in una
situazione dove convivono pericolosamente le tentazioni di dominio e
isolamento. Appena guariti dalla sindrome da Vietnam, gli Usa fanno ora i conti
con i rischi di una nuova frustrazione.
Saddam Hussein è stato armato fino ai denti da Urss, Francia, Stati Uniti e
sceicchi arabi, ma in queste ore si dimostra particolarmente lucido nell’uso delle
armi improprie care ai dittatori: l’espansionismo ammantato di nazionalismo,
l’appello alle forze irrazionali, la guerra psicologica, la rappresaglia sugli inermi
lasciata efferatamente intuire attraverso le carezze televisive ai bambini in
ostaggio a Bagdad.

migliore delle ipotesi, otterrà il male minore.

L’Occidente, che non ha mai capito nulla dell’Islam e che ora occupa la sua
Terra Santa, dovrà compiere un miracolo soltanto per limitare i danni. Nella