2004 ottobre 11 Schumi
2004 ottobre 11 – Vale Lippi Schumi
Diciamo la verità. La vera nazionale non è la squadra di Totti ma la Ferrari di Schumacher, che
dopo il solenne inno tedesco ha persino risposto in italiano alle domande come sarebbe piaciuto al
patriota Goffredo Mameli. Il suo inno allegrone sarebbe stato cantato molto di più se, anziché
Fratelli d’Italia, fosse stato brevettato come Fratelli di Maranello.
Si dice che in Giappone l’ennesimo gioiello meccanico e aerodinamico della Ferrari corresse in
pratica su un binario, tali erano l’aplomb, il portamento, l’eleganza esibiti a 300 e passa all’ora. E’
proprio così, fila e sfila meglio di una top model questa macchina che finisce per rendere del tutto
scontata anche la miliardesima vittoria del decennio senza pari di Montezemolo.
Naturalmente tanta supremazia in pista vale più di un gigantesco spot commerciale a vantaggio
della produzione su strada. La formula uno vincente commercializza al meglio il marchio di
fabbrica, fra l’altro con una puntualità quasi programmata visto che la Ferrari mette ora sul mercato
la F430, neonata creatura da sogno che accelera da zero a mille metri in 21 secondi e 6 decimi al
modico prezzo di 152.000 euro , oppure 145.000 se il miliardario che se la porta a casa si
accontenta, povero diavolo, del cambio manuale.
Valentino Rossi fa ancora meglio di Schumacher perché in pochi mesi ha lasciato la Honda
dominante, ha preso tra le gambe la Yamaha perdente e l’ha trasformata in una moto a un passo dal
titolo mondiale. La differenza si chiama Valentino, a 25 anni già un veterano del podio numero 1, il
personaggio più fantasioso, sincero e disinibito dell’intero mondo dei motori, ma anche riflessivo,
maturo. Quando gli chiedono che effetto fa essere un “mito” alla sua età, replica che si tratta del
mestiere più impegnativo del mondo.
Anche lui influenza le vendite, è un marketing in carne e ossa. I primi dati sicuri provano che in
Italia l’effetto-Valentino ha contagiato i giovani facendo impennare il mercato delle Yamaha, roba
che l’equivalente dell’intero anno precedente all’ingaggio di Rossi è andato venduto in un paio di
mesi.
La telecamera della mondovisione ha indugiato ieri sul guantone verde pistacchio con il quale il
campione dosava tocchi di frizione. Si provava la sensazione che mano e manubrio fossero arti
dello stesso corpo.
Niente da immortalare invece con la nazionale di calcio. La quale, a detta di valenti critici, avrebbe
“inaspettatamente” perso in Slovenia mentre è da tempo tradizione che dalla nostra nazionale ci si
debba sempre aspettare qualunque cosa. Con Trapattoni, Lippi o non so chi, resta una squadra
mezza presunta, dubitante di sé, difficile da catalogare, sempre favorita e sempre da accertare.
In sostanza non è successo niente di strano, solo veemente impotenza con un timido Totti, con un
Gilardino da ossigenare, con un Esposito come tanti in circolazione e, vedi il gol preso, con Buffon
che in uscita è sembrato il sosia perfetto di Toldo. Affondando nel passato non mi aspetterei dai
nostri portieri la potenza e la classe di Zoff, il coraggio di Ghezzi, la personalità di Bacigalupo o
l’acrobazia alla veneta di Bepi Moro da Carbonera.
Basterebbe che nella piccola area non a caso detta “del portiere”, profonda in tutto 5 metri e 50
centimetri, uscissero da padroni non come pipistrelli impazziti nell’aria. I cross da fermo sono
sempre più pericolosi perché anche i primi della classe tremano all’idea di uscire di pugno.