2004 ottobre 10 Senza pubblico e giovani

2004 ottobre 10 – Senza pubblico e giovani politica ridotta a show

Questa politica piace solo ai politici.
Ha più che mai il potere di allontanare, tranne chi la gestisce, ne gode, ci campa, l’identifica con il
partito e con la foia dell’apparenza. Ai ragazzi poi non gliene può fregare di meno, come ha
dimostrato una robusta ricerca pubblicata dal settimanale {Espresso}: il 97 per cento dei giovani tra i
14 e i 24 anni di età si fida ciecamente o abbastanza soltanto dei genitori mentre la politica viene
semmai usata come una mutevole {etichetta per stare nel clan}. Il vero partito di massa dei giovani è
la famiglia. Che tiene botta nonostante i tanti sforzi per disgregarla.
Che non fa propaganda, spot né populismo e che si mostra senza fiction e senza giochi a premi. La
{grande passività} temuta da uno scrittore ungherese per le nuove generazioni europee si mette al
sicuro in Italia nella cellula familiare, niente a che vedere con le vecchie militanti cellule in falce e
martello.
Alla settimana sociale dei cattolici italiani, in pieno svolgimento, la parola d’ordine è formare
coscienze non elettori. {Come giovani – dicono al quotidiano dei vescovi Avvenire, chiediamo che la
politica dia più importanza alla persona, all’individuo}. Altro che rifare la Dc, questi giovani aspirano
a rifarsi come cristiani ben dentro la società, la vita, la quotidianità senza farsi pescare come salmoni
al momento del voto.
Perciò il volontariato attrae, la politica no, anzi il volontariato viene spesso vissuto come fuga dalla
politica.
I giovani domandano {coerenza}, si legge sul settimanale Difesa del Popolo della diocesi di Padova.
Ma se ovunque vanno a caccia di valori del tutto aggiornati come famiglia, coscienza, persona,
individuo o coerenza, l’area più sprovvista in materia risulta proprio la politica fatta di televisione, di
annunci, di promesse, di rendite a vita, di no e di sì per partito preso, di riti istituzionali nemmeno
lontanamente rappresentativi del costo della vita, del petrolio a 53 dollari e degli inediti terrori di
massa.
A scanso di equivoci e di piagnistei sul presente, una cosa va subito riconosciuta.
La distanza tra italiani e ceto politico nazionale fa ciclicamente parte del nostro paesaggio.
Lo storico vicentino Sergio Romano pensa che, morto il codice morale nato con il Risorgimento,
l’Italia si dimostri da un bel po’ {uno Stato senza fondamenta etico-politiche}. Indro Montanelli
considerava sempre attuale il garibaldino {si fa l’Italia o si muore} ma, con il sarcasmo dell’anti-
italiano di razza, aggiungeva subito: {Se non siamo già morti}.
E un altro campione dell’anti-retorica come lo scrittore Giuseppe Prezzolini preavvertiva tutti che
{Il mondo non è in progresso, ma in espansione}.
In parole povere è vietato illudersi con le parole in un Paese dove, ad esempio, le ultimissime
statistiche provano che il 25% degli insegnanti non legge mai Si consiglia dunque una sana
diffidenza nazionale, virtù che i giovani d’oggi praticano secondo gli stili del tempo, senza tanti
tormentoni e stando semplicemente ai fatti. Anche i leader hanno perduto ascendente, e nessuno osa
più parlare di carisma da consenso oceanico e quasi. Lo stesso imprenditore dell’immagine Silvio
Berlusconi non si sognerebbe più di affermare pubblicamente come fece dieci anni fa: {Ho un
complesso di superiorità che devo frenare}.
Ex tecnocrate pubblico formatosi nella sinistra democristiana, il professore in economia politica
Romano Prodi citava da parte sua la ricostruzione del dopoguerra per dimostrare che in Italia
{l’impossibile fu possibile}. Adesso, in una congiuntura per la verità assai meno eroica, anche
mettere in piedi un qualche centrosinistra sembra diventata un’impresa da faraoni per l’inventore dell’
Ulivo.
Nemmeno cinque anni europei a Bruxelles ne hanno tenuto al riparo il carisma.

Tanto che, se al voto politico del 2006 tornerà a muso duro la coppia bipolare Berlusconi/Prodi, non
sarà un duello elettorale al sole ma piuttosto una sfida personale al lume di candela.
Cioè un rancoroso scontro tra due leader fiaccati dalla stessa politica di cui sono padri fondatori,
primedonne e vittime.
Curiosamente l’Italia non rappresenta un’anomalia visto che tutti i leader europei sono appannati, da
Chirac che ha perso le piume egemoni a Schroeder affaticato quanto la sua Germania fino a Tony
Blair che vede oscurato dalla guerra in Iraq perfino lo storico ruolo di unico moderno riformatore
della sinistra europea. Anche dalla eclissi di tanti leader nasce forse la spinta, in Italia e altrove, a
seguire quasi con morbosità il faccia a faccia tra Bush e Kerry.
Se la politica nazionale perde pubblico e giovani, cominci pure lo show americano.