2004 marzo 29 Roma

2004 marzo 29 – Crisi Roma

Mandorli, peschi e albicocchi sono in fiore, come le primule, le viole, le giunchiglie e quei piccoli
fiorellini azzurri che noi chiamiamo, preferibilmente in dialetto, “gli occhietti della Madonna”. I
merli non smettono di cantare i giorni allungati, l’ora legale, il tempo dei desideri. Anche il pallone
sente il cuoio più leggero e, mentre i prati asciugano il pantano, i muscoli si abbandonano ai primi
languori di una stagione che i dizionari di una volta dicevano essere la gioventù dell’anno. Football
e romanticismo si cercano.
La primavera ha portato una sagra di gol liberando negli stadi estri fioriti alla Roberto Baggio e
rendendo docili agli schemi anche i bulloni più tagliati per l’inverno. A volte, il tepore svuota le
gambe e offusca la forma fisica, come temono i preparatori atletici previdenti. A volte, accende
nuovi stimoli aerobici come ha imperiosamente dimostrato il Chievo a san Siro.
A sette partite dalla fine, questo campionato non finisce mai e ieri, incredibile ma vero, sembrava
addirittura voler ricominciare tutto da capo come se niente fosse. Oltre che bellissimo a vedersi, il
Milan è però benedetto da Silvio Berlusconi sicché la classifica lo mantiene intatto in una botte di
ferro per merito di un gol segnato non all’ultimo minuto ma al penultimo secondo.”Basto io e la mia
magia” avrebbe detto il folletto di una fiaba del Montello di Laura Simeoni.
In fin dei conti, la sola cosa che colpisce é il cedimento strutturale della Roma. Ha una società
fallimentare, uno stadio traumatizzato, una parte organizzata di tifo da galera, una squadra
frastornata che prima credeva nel gioco e che oggi sospetta i saldi di fine stagione. Rischia la
vendita all’asta perfino la bandiera, cioè Totti, coccolato dalla capitale come la sua lupa.
Se riguardasse soltanto la Roma, la crisi del calcio sarebbe roba da ridere. Ma non é così. Il dissesto
economico assomiglia a un’epidemia che non risparmia nessuno, perché la megalomania e
l’imprevidenza si dimostrano da anni contagiose. Chi scopre il fallimento soltanto adesso é un tonto
da enciclopedia.
In questi giorni si sente ripetere senza fine il solito ritornello: il calcio ha sempre dato allo Stato
senza pretendere mai una sola lira pubblica. Bene. Se così fosse, allora smettetela di aspettarvi
interventi, decreti legge, dilazioni, rateizzazioni, spalmate d’ogni ordine e grado. Arrangiatevi.
La ricetta é molto semplice. Ciascuno si organizzi in base ai propri mezzi: se ha 100, spenda 100; se
50, si limiti a 50. Questa regola aurea dovrebbe cominciare dal pubblico, che non può pretendere
dall’Udinese o dal Chievo, come dalla Triestina o dal Treviso, gli stessi mezzi finanziari e le stesse
ambizioni della Juve o del Real. Ma siamo fuori di testa?
Non cascherebbe il mondo nemmeno se il calcio europeo escludesse dalle sue coppe un paio di
squadroni italiani. E’ successo molte volte di essere fuori per pochezza tecnica; in questo caso
dipenderebbe dalla pochezza di risorse. Ben gli sta.
Ben gli stanno i fallimenti, i ridimensionamenti, la riduzione del 50 per 100 degli stipendi dei
calciatori. Ben gli sta tutto, ma proprio tutto ciò che serve a far ripartire il calcio dal comune senso
del pudore.
I potenti interessi in ballo faranno di tutto per cavarsela a buon mercato, ma così s’illuderanno. Il
solo interesse di domani é la tolleranza zero di oggi.