2004 marzo 28 Riforme

2004 marzo 28 – Riforme calcio

Saranno già seimila gli appelli rivolti ai politici perché abbassino i toni della baraonda generale.
Niente, come non detto. Per non contare gli inviti a riformare la Costituzione trovando almeno
qualche nobile punto di accordo tra maggioranza e opposizione. Niente da fare, sembriamo divisi in
etnie tribali più che in schieramenti di stampo europeo; povera Italia ha concluso ieri un autorevole
quotidiano tedesco.
In Parlamento – secondo lo stesso impudico andazzo di Regioni o di Province autonome – si trova
ogni automatica intesa tra i rappresentanti del popolo soltanto nell’aumentarsi le prebende, i
rimborsi, i contributi, i benefit, i fondi perduti, i schèi insomma. Naturalmente, chi si permette di
fare questo tipo di osservazione viene inserito seduta stante negli elenchi dei qualunquisti,
demagoghi, arrabbiati padani e disfattisti all’italiana: é la solita solfa.
Cavour, che la costruì con le sue stesse mani, considerava l’unità d’Italia un fatto “immenso”. Non
so che cosa ne penserebbe a quasi un secolo e mezzo di distanza, ma di sicuro la dis-unione della
politica italiana oggi oscura alla grande ogni senso nazionale e bandiera, inno e retorica della patria.
Ma con un’unica, portentosa eccezione di queste ore: l’anti-calcio di massa. Il quale sta producendo
invece un fenomeno impensabilmente unitario, una maggioranza silenziosa che comprende l’80/90
per cento degli italiani, un moto popolare trasversale di cui si era persa memoria nella notte dei
tempi, un vero e proprio plebiscito civile.
Questa è la sola Italia che si dimostra unita.La gente ha rifiutato, quasi all’unanimità, qualsiasi
mano pubblica a favore di quei club fallimentari che pagano i giocatori come inarrivabili divinità
del pallone mentre si dimostrano da tempo in trepidante attesa di pagare meno tasse, di spalmare nel
tempo quelle che non pagano e di diluire negli anni ogni capriola di bilancio.
Qui c’entra poco il calcio in sé. Ciò che é accaduto vale come fatto politico e di costume, in un
Paese fra l’altro con 25 milioni di appassionati dello “sport più bello del mondo”.
E’ un fatto di costume non da poco che l’italiano-medio si senta finalmente cittadino attivo e non
spettatore amorfo. E’ un fatto politico che il popolo dei contribuenti abbia messo in riga la
combriccola dei funamboli delle tasse.
In parole povere vuol dire che il nostro Paese preferisce andare finalmente al sodo dei problemi. E’
rassegnato oramai a tanti teatrini, ma non alle tasse di favore.
Già tre anni fa uno studio dell’università di Perugia aveva misurato in maniera scientifica la
distanza che corre tra la rappresentazione della politica e il vissuto politico della gente comune.Due
cifre parlavano chiarissimo: il primo pensiero dei cittadini (43%) era l’occupazione che otteneva al
contrario una quota minima nell’informazione (6,4%), mentre quest’ultima dedicava il massimo
dello spazio alla campagna elettorale (23%) a fronte del largo scetticismo popolare (0,8%).
Oggi il distacco tra realtà e politica si é fatto ancora più netto. Più se ne parla meno si fa intendere
e, per paradosso, più la si segue meno se ne sa. Secondo il sondaggio di Renato Mannheimer sul
Corriere di ieri, il 45% dei giovani tra i 18 e i 20 anni ha dichiarato di non sapere per chi votare alle
prossime elezioni europee.
Per questo é molto interessante il movimento di massa anti-calcio. Dimostra che se insistono a
tirarlo per i capelli, il Paese sa replicare, scegliere, ragionare, dire la sua senza isteria e con molta
freddezza. Persino a spese delle sue stesse passioni popolari.
Capiterà la stessa cosa con la riforma della Costituzione, voluta a maggioranza dal centrodestra
esattamente come a suo tempo dal centrosinistra. Perché diventi legge definitiva, occorreranno altri
tre passaggi nelle due Camere, a intervalli non minori di tre mesi. Se la legge verrà approvata dai
due terzi di ciascuna Camera, vorrà dire ovviamente che a colpi di modifiche la riforma sarà a quel
punto diventata di tutti gli italiani o quasi ma, se questo non avverrà, ci penserà alla fine un
referendum popolare ad approvarla o a respingerla.
Si va con i piedi di piombo, basti pensare che la riduzione dei parlamentari da 1000 a 600
entrerebbe in ogni caso in vigore nel 2011. E’ soltanto la permanente dis-unione politica il vero
pericolo italiano, non altro.

A Bruxelles si parla di “Europa delle diversità”. A Madrid il neo-primo ministro Zapatero sogna
un’”Espana plural”; a Parigi il premier Raffarin ha lanciato la formula riformista del “disordine
creativo” per mitigare il centralismo napoleonico della Francia. Non sarà certo il nostro mite e
confusionario federalismo a smembrare l’Italia nell’Europa dei 25.
E poi il popolo anti-calcio ha dimostrato buonsenso da vendere. Lo userà anche nel darsi uno Stato
un po’ più vicino alla realtà del vivere.