2004 maggio 1 Donne e lavoro

2004 maggio 1

Sarà anche la festa del lavoro, ma per troppe donne é la fuga dal lavoro. Lo dimostrano un sacco di
impietose ricerche.
Ieri su “Repubblica” l’ex autorevole commissario europeo Jacques Delors ha poi ribadito che per
l’Europa larga, da oggi a 25 Paesi membri, ci vuole “uno sviluppo durevole e solidale”. Giusto,
anche se vorrei proprio sapere che cavolo vuol dire quell’inflazionato “solidale” soprattutto per
l’Italia, campione del mondo nel maneggio della parola solidarietà, campione europea in denatalità
e, con maligna coerenza, maglia nera europea negli investimenti sociali.
Meno socialità, meno figli. Nel fatturato del nostro Paese in particolare sembra quasi che i figli
vadano inseriti sotto la voce “passività”.
A volte le donne scelgono di licenziarsi dal lavoro per dedicarsi consapevolmente alla famiglia. E’
una scelta di valore, molto forte e per niente “all’antica”: l’educazione dei figli a tempo pieno si
dimostra sul campo una opzione pedagogica tagliata su misura per una società a corto di riferimenti.
Se si può scegliere senza pressioni la famiglia, si cerca il futuro.Chiaro?
Solo che la maggioranza delle donne che a migliaia lasciano il lavoro appena diventate mamme non
sceglie affatto. Qui le donne sono costrette ad abbandonare; volenti o nolenti si devono fare carico
della rinuncia, in Lombardia come a Nordest, perché non ce la fanno a tenere insieme l’orario di
lavoro con l’orario di neo-mamme.
Per questo, drasticamente per questo, una mamma italiana su cinque si arrende sacrificando il
lavoro a figli e famiglia. “Un aut aut” lo definì sul ‘Corriere’ Isabella Bossi Fedrigotti .
Si scopre l’acqua calda nel constatare che la famiglia ha da tempo subito un terremoto più che una
rivoluzione. La cosiddetta “ famiglia allargata” fa parte oramai del vecchi album di famiglia quando
il fotografo faceva fatica a non lasciare fuori nessuno dall’inquadratura, tanto era affollata di nonni,
zii, fratelli, figli, nipoti, cugini, una meraviglia perduta.
Oggi, come nei paesi industrializzati, é il reddito che decide quasi sempre la famiglia, non la
provvidenza ispirata dal buon Dio. Perciò prende sempre più piede la famiglia stretta, quella
centrata sul figlio unico. E l’eventuale secondo richiede un bilancio familiare di previsione degno
della Ragioneria di Stato.
L’asilo-nido ad esempio costa un occhio della testa e, anche in Veneto, soltanto una piccolissima
minoranza di bambini ne può godere. Le forme di flessibilità sul lavoro badano all’azienda più che
alla famiglia. I servizi sono lentissimi nel diventare politica e cultura, anche se tutto il Nordest é
sempre pieno di bellissime esperienze realizzate proprio dalle donne.
Ripenso a una cooperativa, la “Insieme si può” creata a Treviso e Conegliano da Rina Biz, che ha al
lavoro più di 800 soci al 95 per cento donne e che nel suo rendiconto di economia sociale esibisce
un dato come un gioiello:”Ogni anno abbiamo cinquanta nuove maternità.” Lavoro + fatturato +
figli, questa somma é anche un ideale molto concreto che dà finalmente senso all’aggettivo “
solidale”.
La donna dovrebbe essere la questione politica numero uno . Un governo che punti sul grandioso
ruolo delle donne, sui loro difficili aut aut e su tutto il lavoro al femminile – dalla casalinga alla
manager d’impresa – decide la qualità, il domani, il senso, il vero duraturo welfare delle prossime
generazioni. I soldi meglio investiti dallo Stato sono, oggi come non mai, quelli destinati alla
famiglia.
Non é che, per difendere la natalità, si deve sotto sotto rinverdire lo spirito del modello fascista,
quando la famiglia numerosa fu aiutata in molti modi anche perché lo Stato la considerava
necessaria alla sua politica di espansione e di potenza, quasi fosse una voce delle ambizioni
coloniali. Mussolini voleva capifamiglia, non scapoli o single tanto che appioppò una tassa sul
milione di uomini che, a 26 anni, non si erano ancora sposati. I soldi incassati ogni anno dalla tassa
sul celibato andavano tutti alle famiglie , mentre un celibe non poteva fare il podestà o il professore
universitario!

Lasciamo perdere. Il fatto é invece questo. Non sarà festa del lavoro per la donna finché la donna
sarà costretta a vivere questa nuova subalternità: o mamma o lavoratrice, o al posto di lavoro o in
famiglia. Non é questione di elemosine sociali, ma di un salto di mentalità e di politica: mettere la
donna al centro del welfare. Renderla libera di fare figli senza ricatti, frustrazioni e solitudini
sociali.
All’inizio del Novecento lo scrittore americano Sinclair Lewis, premio Nobel, raccontava che il
mondo dei maschi considerava la donna ancora “profumata dagli ideali dell’harem.” Adesso le
donne inseguono l’ideale dell’asilo-nido.