2004 luglio 26 Tour de France

2004 luglio 26 – Tour de France

Grandioso. Da almeno un paio d’anni non vedevo nello sport la stessa bellezza di questo Tour de
France che ho seguito per intero su Sky e, a briciole, sulla Rai. Chi si ricordava più del calcio?
Gino Bartali definì il Tour “un incubo” tanta era la preparazione necessaria. Mezzo secolo dopo, il
texano Lance Armstrong racconta che lui e tutto il suo squadrone hanno lavorato sodo nella galleria
del vento per perfezionare la posizione in sella e per collaudare i materiali.
Dalle strade sterrate alla tecnologia da formula uno é cambiato tutto, ma il Tour resta il Tour, il
massimo del ciclismo, 3500 avventurosi chilometri a 40 all’ora, uno dei pochi eventi che fanno
storia in mondovisione. Chi si stupisce per la popolarità di questo ciclismo non capisce niente della
fatica, della classe, della resistenza, della strategia e perfino della tentazione, sempre in agguato, di
rubare un momento di gloria avvelenando se stessi e frodando gli avversari.
A quasi 33 anni, Lance Armstrong, ex campione del mondo, ha vinto il sesto Tour, impresa mai
riuscita nemmeno all’iperuranio Eddy Merckx. E lo ha vinto in salita, a cronometro e in crono-
scalata, sul passo e con certi sprint di tanta prolungata potenza da sfidare la forza di gravità tanto sui
Pirenei quanto sulle Alpi. Con Armstrong vince uno di quei campioni a più dimensioni il cui albero
genealogico parte alla lunga da Fausto Coppi, capace di aggredire sia la pendenza dell’Izoard che il
solitario record dell’ora contro il tempo.
L’americano Armstrong è un tipo a sé, quasi in esclusiva per il Tour, che a causa del cancro perse
dieci chili di peso e due anni di attività. Con chi lo sospetta di doping diventa una bestia e in corsa
se lo lega giustamente al dito.
E’ l’asso ri-costruito dopo il dolore, fino a diventare un simbolo per gli Stati Uniti. Il presidente
Bush lo ha scelto come testimonial; il New York Times gli dedica in prima pagina foto più grandi
di quelle riservate a suo tempo alla guerra in Vietnam.
Vale un capitale Armstrong. Per divorziare ha pagato 40 miliardi di vecchie lire e, adesso, il nuovo
sponsor gli garantisce 60 miliardi all’anno per tre anni. Oltre che un fuoriclasse é il leader che si
sceglie i gregari, si fa la squadra su misura e la motiva come un reparto speciale. Se vince lui,
vincono tutti, fama e dollari.
Per rendere meno simpatico Merckx, insaziabile nel vincere, lo chiamarono “cannibale”. Oggi
sarebbe Armstrong il cannibale, appellativo che considero invece un fior di complimento come si
usava ai Caraibi dove in origine la parola voleva dire coraggioso. Penso a Valentino Rossi in piedi
sulla moto come un domatore di tigri.
I nati per vincere devono sempre cercare la vittoria; i loro tifosi li vogliono veder vincere e
stravincere, soprattutto quando un tappone, una partitissima o un circuito si caricano di significati.
Ci si stanca soltanto di perdere, ha ammesso tempo fa Luca Montezemolo.
La Ferrari egemone irrita solo i suoi rivali. Schumacher sarebbe un pescecane allora, mentre la sua
bravura di pilota-record sta nel sentirsi sempre primo e nel non fare regali a nessuno, mai.
Per fortuna, i grandi sono tutti come Lance Armstrong in giallo. Ve lo immaginate un Milan che
perde per appagamento, magari perché gli fa tenerezza un’Inter che non vince neanche per
scommessa?
Un po’ di sano Texas fa sempre bene.