2003 ottobre 12 Basket

2003 ottobre 12 – basket

forse non dovrei apparire su questo opuscolo. Da ragazzino tifavo Bartali, Fangio e Inter, in
ordine alfabetico,incarnazioni dei tre sport che amavo, ciclismo, automobilismo e calcio. Non
appena cominciai con il giornalismo, un direttore mi disse:”Lei naturalmente sa anche di
basket.” No, fu la mia risposta, proprio no; tanta era la mia ignoranza sotto canestro che mi
sarebbe stato impossibile mentire.
Una sola volta, quando lavoravo alla redazione milanese di “Tuttosport”, mi capitò di dover
fare la cronaca di una partita di pallacanestro per sostituire due colleghi ammalati. Ricordo solo
che giocava l’Oransoda, ma non chiedetemi contro chi. Quella sera scoprii che esisteva il time
out; per il resto scrissi praticamente sotto dettatura di un amico che ne sapeva quanto Dan
Peterson; di mio non c’era neanche la firma, che il pudore mi consigliò di tralasciare.
Credo di aver capito il basket soltanto a Montreal nel 1976 e a Mosca nel 1980, due delle mie
quattro indimenticabili olimpiadi da inviato. A Montreal, per merito di un playmaker americano
alto più o meno come me, mi accorsi finalmente della spettacolare modernità di questo sport.
Che favola quegli Stati Uniti! E che meraviglia la Nba dei prof. (professori, intendo, oltre che
professionisti) che mio figlio Francesco mi insegnò poi a guardare su Canale 5: non so bene
perché ma tifavo in poltrona per i Lakers di Los Angeles, davvero Magic.
A Mosca seguii da vicino la Nazionale di Renato Villalta, trevigiano, elegantissima bandiera di
Mestre, e Dino Meneghin, pivot friulano nato in Veneto, che con i suoi due metri e cinque
centimetri per 104 chili di peso riusciva a sollevarsi come una ballerina classica. Che bravi. Con
tre milioni di praticanti, l’Urss fu terza in casa; l’Italia, con centomila tesserati, dei quali 15
mila a Nordest, fu seconda, d’argento.
Mi tornano i ricordi in grande per meglio ricordare in piccolo. Ma con la stessa ammirazione
che via via s’impianta in testa attraverso ogni cosa bella della vita.
Il basket di Castelfranco compie 50 anni, e li dimostra , dai tempi della romantica Polisportiva
fino alla più specializzata Associazione. Pur dimostrandoli, perché ne ha fatta tanta di strada,
porta bene i suoi 50 anni: con dignità e orgoglio, in mezzo a noi popolo di incalliti pallonari.
Il basket fa bene a far festa grande, tanto per i successi quanto per le delusioni, come
suggerisce la migliore lezione morale dello sport. Soltanto così la serie B e la C2 conservano
pari rispetto; e così i tantissimi ragazzini del minibasket meritano lo stesso albo d’oro dei pochi
che riuscirono a emergere fino alla serie A, come i Borghetto, i Coldebella, i Milani o i Giorgio
Pasetti.
Che tempi; dopo soli 50 anni sembra archiviato un secolo. Se penso ai primi vivai ripenso a
figure come Checchi Battiston, alle sue rabbie proverbiali e al suo doppio impegno: mentre
indaga sulle antiche origini della città sogna uno sport tutto rivolto alle nuovissime leve. La
passione del passato storico e, insieme, del futuro dei figli.
Credo di non fare torto a nessuno se rammento che i 50 anni del basket di Castelfranco sono
anche la biografia sportiva di Gianni Scapinello, classe 1926, ahimè juventino di ferro. Ha
cominciato nel dopoguerra, con i ragazzi del maestro Guido Tescari, e insiste ancora oggi,
senza vantare né esibire meriti. Anzi, recentemente mi ha raccontato con gratitudine che , senza
il sostegno economico della Castelgarden di Maurizio Ferrari, adesso il basket locale sarebbe
“sparito”.
Ci mancava solo il Coni in bolletta! E’ sempre più costoso organizzare oggi sport, a tutti i
livelli.
50 anni fa era tutt’altra faccenda. Nelle trasferte, venivano tolti perfino i sedili a una Balilla a
noleggio per farci stare anche otto persone al colpo. E, “quando andava bene” ricorda

Scapinello, per riempire lo stomaco c’erano al massimo i panini per premio-partita.
Tra le ragazze giocava anche Tina Anselmi, prima di andare a canestro a Montecitorio. Gianni
Fabrin, con i suoi due metri, era il solo negli anni cinquanta ad anticipare le stature del basket
moderno.
Con i suoi figli, Bepi Pasetti avrebbe potuto schierare quasi un quintetto. Quanti nomi, quante
storie, in squadra e in società, quanti episodi. I Bertòn, Franco Brusatin, il cuore di Bragagnolo
che cede allo stress da spettatore, la garanzia in banca di Bruno Girardello, chissà quante
pagine di questo opuscolo servirebbero per non scordare nulla e nessuno.
Ad occhio e croce, questa società ha sempre puntato secondo me a tre cose importanti. La
prima: fare volontariato e ancora volontariato. La seconda:far tornare i conti senza scippare
nessuno. La terza: dare mezzo secolo di sport ai ragazzi, da quelli del lontanissimo 1952 ai
duecento di oggi.
E’ un piccolo grande bilancio anche civile, che merita un grazie da parte della città. E quando
sento Gianni Scapinello sussurrare che , a 77 anni, è ormai ora di andare in pensione, spero da
sportivo e da cittadino di Castelfranco che lui faccia soltanto cinema, come ha benissimo
imparato all’Hesperia.
Buon compleanno, gente del basket.