2003 marzo 24 Donne Veronica Berlusconi

2003 marzo 24

LUNEDI’ 17

Donne

Veronica Berlusconi, 45 anni, moglie del presidente del Consiglio:”Il più piccolo dei miei figli,
Luigi (14 anni), è convinto che la guerra all’Iraq si faccia per il petrolio. Si informa, chiede, legge e
la domenica prova a discutere del suo punto di vista col padre. Finora nessuno dei due ha cambiato
la posizione dell’altro.” ( da “ Micromega”)
Susan Sontag, 70 anni, scrittrice americana, teorica della liberazione della donna:” Non sono
pacifista.Sono contraria a questa specifica guerra. Ma non credo che il ricorso alla forza armata sia
sempre e in qualsiasi circostanza ingiustificato.” (da “Repubblica”)
Naomi Klein, scrittrice canadese, teorica dei no-global:” Si tratta soltanto di un vago sentimento
pacifista, destinato a svaporare? O è qualcosa di più profondo e duraturo?” (da “L’Espresso”)
Emma Bonino, 54 anni, esponente radicale:” Non è che, cacciato Saddam, splenderà il sole. Ci sarà
un periodo di transizione.” (da “Sette”)
Alessandra Mussolini, deputato di An, ha votato contro il governo:”La guerra fa schifo.” ( dal TG)
Donna Braveboy, 25 anni americana, sergente di colore, istruttrice dei Marines:” Quando incontro
le reclute, penso a quello che succede oggi nel mondo. Di base, li addestro a diventare cani da
combattimento. Lo siamo tutti in questo momento. Hanno bisogno di avere questa forma mentis e di
capire quello che passeranno.” ( da“Specchio”)

MARTEDI’ 18

Belligeranza

Ciampi e Berlusconi hanno adottato il termine “non belligerante” per indicare la posizione
dell’Italia rispetto all’Iraq. Guerra no; basi e sorvolo aereo agli americani sì.
Benito Mussolini usò lo stesso concetto di “ non belligeranza” il giorno in cui, era il 1° settembre
1939, Hitler invase la Polonia dando il via alla seconda guerra mondiale. Era la dichiarazione di
neutralità ma a Mussolini non piaceva affatto dirsi neutrale. Come spiegano gli storici, gli sembrava
una definizione moscia, vagamente imbelle e soprattutto poco fascista.
Scelse “non belligeranza” perché gli suonava più virile, meno disimpegnata rispetto a neutralità.
Dieci mesi dopo, il duce avrebbe liquidato quel provvisorio “non” e trascinato l’Italia nella
“belligeranza”. Era convinto di fare uno storico affare.

MERCOLEDI’ 19

Informazione

La guerra è sempre la notizia estrema. Più di un terremoto, perché frutto degli uomini non del fato.
E abita in noi anche se combattuta in un lontano dove.
L’informazione è il nostro pane quotidiano. La guerra esaspera questa nuova condizione umana,
fa sentire l’informazione più indispensabile che mai. Lavorare bene sui fatti e sulle fonti è il miglior
servizio tanto dei giornali quanto della televisione, pubblica o commerciale che sia.
Nonostante i suoi modesti mezzi, ho visto ottime cose su La7 diretta da Giulio Giustiniani. Anche
Mediaset si dà molto da fare. Chi ha voglia di selezionare, non potrà lamentarsi.
Della Rai mi dichiaro soddisfatto dalla mattina a notte fonda, dato che sta dimostrando 24 ore su 24
di saper utilizzare fino in fondo le grandi potenzialità a disposizione Con una sola domanda ma
imbarazzante per chi paga il canone: possibile che debba scoppiare una guerra per veder ridotti gli
spazi dell’evasione spazzatura, del teatrino politicante e dell’infantilismo a gettoni d’oro?
La guerra è fatta di censura, di propaganda, di segreti, di bugie strategiche e di tattici inganni.
L’informazione è una guerra nella guerra, fa fatica a farsi largo. Con un paradosso moderno: più la
tecnologia televisiva mostra la guerra da vicino, più la verità sembra allontanarsi a volte dallo
sguardo.
Non basta vedere. L’immagine squarcia il velo, ma può anche risultare muta. Serve capire.
Informare è aiutare a capire oltre l’immagine, anche la più chiara.
Ci aiuta la democrazia. Senza democrazia, niente informazione plurale e, senza questa, niente
opinione pubblica informata, come capita nei Paesi arabi dove un sacco di gente crede che le Torri
di New York siano state abbattute dalla Cia per accusare l’Islam! Non è uno scherzo.
La comunicazione è l’essenza della globalità. Mai come in queste ore il mondo si fa simultaneo, qui
e ovunque. Il suo sistema nervoso è il collegamento:”Vediamo in linea il nostro corrispondente da”.
In un lampo, è come se scavalcassimo più generazioni. In Afghanistan, intervistiamo in prima linea
le prime donne-alpino . Dall’Iraq vanno in onda numerosissime giornaliste a 300 metri dagli
obbiettivi dei missili o sul fronte al seguito dei Marines.
Anche i più tradizionali santuari dei maschi vincono ogni tabù. Conta la bravura, non il sesso. E
nemmeno il coraggio professionale ha sesso.
Ci sono già dei morti tra i cronisti della guerra, fra chi impugna la telecamera, fra i tecnici. Spesso,
soldato e cronista vedono in faccia lo stesso pericolo. A volte, tra un’inquadratura da guardare
seduti in poltrona e il rischio corso per procurarla, passa un niente, come il sabbioso vento del
deserto iracheno.
Le guerre mandano in archivio immagini memorabili. Le foto in bianco e nero della prima guerra
mondiale sono sangue e vita, a cominciare dal Veneto.
Anche la foto più tragica non cessa di essere “bella”, ma di tutt’altra bellezza rispetto all’estetica e
alla morale. E’ “bella” soltanto perché aiuta a fermare tutto di noi, anche il peggio dell’uomo, e
forse a fargli per sempre memoria dei suoi incubi.
Non credo che la televisione voglia fare spettacolo della guerra. Dipende da noi: noi guardiamo con
ciò che siamo dentro.
Attori più che (tele)spettatori.

GIOVEDI’ 20

Guerra

“Bellum” era per i romani il conflitto armato, che derivava da “duellum”. Ma bellum fu soppiantato
da “guerra”, parola che porta in sé una più aggressiva radice di origine germanica.
Il francese Voltaire, padre dell’illuminismo, spiegava che i tre ingredienti più famosi di “questo
basso mondo” sono la carestia, la peste e la guerra. Era pessimista avendo notato che tutti gli
uomini avevano sempre adorato il mitico dio Marte, ma si consolava con la dea Minerva che
considerava Marte un “dio furioso, insensato e infernale”.

VENERDI’ 21

Pace

L’umanista olandese Erasmo da Rotterdam fu pacifista ante marcia. Scriveva secoli fa:”La guerra
semina guerra.”
Il termine pacifismo viene dal francese. Quando il cardinale Roncalli, patriarca di Venezia e poi
papa, era nunzio vaticano a Parigi, aveva come motto “Obbedienza e pace”.

SABATO 22

Religioni

Ciascuno sta in pace o va in guerra con il suo Dio.

DOMENICA 23

Anglo-americani

“Nella prima guerra mondiale gli inglesi persero un’intera generazione – mezzo milione di uomini
sotto i trent’anni – per lo più appartenenti alle classi elevate i cui figli, destinati per la loro
condizione sociale a diventare ufficiali e a dare esempio di virtù militare, marciarono in battaglia
alla testa dei loro uomini e , di conseguenza, furono uccisi per primi. Un quarto degli studenti di
Oxford e Cambridge sotto i 25 anni che prestavano servizio militare nel 1914 vennero uccisi.
Perfino le perdite apparentemente modeste degli Stati Uniti ( 116.000 uomini contro 1.600.000
francesi, quasi 800.000 britannici, 1.800.000 tedeschi) dimostrarono in effetti che il fronte
occidentale, l’unico sul quale essi combatterono, fu un immane massacro.
Infatti, mentre gli Usa nella seconda guerra mondiale persero un numero di uomini dalle 2,5 alle 3
volte superiore rispetto alle perdite della prima guerra mondiale, le forze americane nel 1917-18
furono in azione per appena un anno e mezzo in confronto ai tre anni e mezzo della seconda guerra
mondiale, su un solo teatro operativo assai ristretto e non su scala mondiale.” ( da “Il secolo breve”
di Eric John Hobsbawm, storico inglese di scuola marxista).

———-(citazione a parte)

Gaston Bouthoul, storico francese, da “ Le guerre” (1951). Ed. Longanesi.
“ C’è un imperatore romano che ha superato Cesare: Tito. Quando fu presa Gerusalemme, un
milione e centomila persone furono sgozzate e novantamila, cioè tutte le rimanenti, furono vendute
come schiavi. La cattura e la vendita come schiavi delle popolazioni vinte sono state per i romani,
in tutti i tempi, uno dei grandi profitti di guerra. Durante le campagne di guerra, i romani
bruciavano senza scrupoli le messi e i raccolti, abbattevano gli alberi, uccidevano il bestiame. E
siccome quel che non distruggevano apparteneva a loro senza discussione, per i romani la forma più
legittima di proprietà era quella acquistata in guerra. Quella dei romani era la guerra totale.”