2003 marzo 24 Guerra e informazione

2003 Marzo 24 – Guerra e Informazione

La guerra è sempre la notizia estrema. Più di un terremoto, perché frutto degli uomini non del fato.
E abita in noi anche se combattuta in un lontano dove.
L’informazione è il nostro pane quotidiano. La guerra esaspera questa nuova condizione umana, fa
sentire l’informazione più indispensabile che mai. Lavorare bene sui fatti e sulle fonti è il miglior
servizio tanto dei giornali quanto della televisione, pubblica o commerciale che sia.
Nonostante i suoi modesti mezzi, ho visto ottime cose su La7 diretta da Giulio Giustiniani. Anche
Mediaset si dà molto da fare. Chi ha voglia di selezionare, non potrà lamentarsi.
Della Rai mi dichiaro soddisfatto dalla mattina a notte fonda, dato che sta dimostrando 24 ore su 24
di saper utilizzare fino in fondo le grandi potenzialità a disposizione con una sola domanda ma
imbarazzante per chi paga il canone: possibile che debba scoppiare una guerra per veder ridotti gli
spazi dell’evasione spazzatura, del teatrino politicante e dell’infantilismo a gettoni d’oro?
La guerra è fatta di censura, di propaganda, di segreti, di bugie strategiche e di tattici inganni.
L’informazione è una guerra nella guerra, fa fatica a farsi largo. Con un paradosso moderno: più la
tecnologia televisiva mostra la guerra da vicino, più la verità sembra allontanarsi a volte dallo
sguardo.
Non basta vedere. L’immagine squarcia il velo, ma può anche risultare muta. Serve capire.
Informare è aiutare a capire oltre l’immagine, anche la più chiara.
Ci aiuta la democrazia. Senza democrazia, niente informazione plurale e, senza questa, niente
opinione pubblica informata, come capita nei Paesi arabi dove un sacco di gente crede che le Torri
di New York siano state abbattute dalla Cia per accusare l’Islam! Non è uno scherzo.
La comunicazione è l’essenza della globalità. Mai come in queste ore il mondo si fa simultaneo, qui
e ovunque. Il suo sistema nervoso è il collegamento: ”Vediamo in linea il nostro corrispondente
da”.
In un lampo, è come se scavalcassimo più generazioni. In Afghanistan, intervistiamo in prima linea
le prime donne-alpino . Dall’Iraq vanno in onda numerosissime giornaliste a 300 metri dagli
obbiettivi dei missili o sul fronte al seguito dei Marines.
Anche i più tradizionali santuari dei maschi vincono ogni tabù. Conta la bravura, non il sesso. E
nemmeno il coraggio professionale ha sesso.
Ci sono già dei morti tra i cronisti della guerra, fra chi impugna la telecamera, fra i tecnici. Spesso,
soldato e cronista vedono in faccia lo stesso pericolo. A volte, tra un’inquadratura da guardare
seduti in poltrona e il rischio corso per procurarla, passa un niente, come il sabbioso vento del
deserto iracheno.
Le guerre mandano in archivio immagini memorabili. Le foto in bianco e nero della prima guerra
mondiale sono sangue e vita, a cominciare dal Veneto.
Anche la foto più tragica non cessa di essere “bella”, ma di tutt’altra bellezza rispetto all’estetica e
alla morale. E’ “bella” soltanto perché aiuta a fermare tutto di noi, anche il peggio dell’uomo, e
forse a fargli per sempre memoria dei suoi incubi.
Non credo che la televisione voglia fare spettacolo della guerra. Dipende da noi: noi guardiamo con
ciò che siamo dentro.
Attori più che (tele)spettatori.