2002 ottobre 28 Goldin e Monet

2002 Ottobre 28 – Goldin e Monet

Nico Naldini ricorda che Dino Buzzati, in un momento di buon umore, considerava Treviso una
“piccola Atene”. E dieci anni fa c’era chi sognava una “cittadella della cultura”.
Fatto. Casa dei Carraresi è la cittadella della cultura; la piccola Atene si è trasformata in piccola
Parigi dell’Impressionismo. E Treviso, appena scesa sotto gli 80 mila abitanti, diventa un caso
mondiale.
Per vedere Van Gogh arriverà da ogni dove mezzo milione di visitatori, sei volte la popolazione
della città: duecentomila hanno già prenotato a scatola chiusa. Ma non è nemmeno la prima volta
visto che, per Monet, gli ingressi furono 418 mila.
Casa dei Carraresi è una fabbrica. La New Economy più innovativa nella provincia dei schèi, anche
se il suo fatturato è immateriale e i suoi azionisti rifiutano categoricamente la parola business.
Nel cuore nordestino del capitalismo dell’uomo qualunque, questa non è una qualunque fabbrica.
Da qualche anno ha messo assieme la coppia più originale che si potesse immaginare, un banchiere
classe 1929 e un quarantenne professore in storia dell’arte; la poderosa Fondazione Cassamarca e
una Srl di Conegliano dal nome crepuscolare come Linea d’Ombra; Dino De Poli e Marco Goldin,
due manager senza padroni che hanno in comune soltanto l’amore per la pittura impressionista.
De Poli non ha mai influito come da quando è andato in pensione con la politica attiva. Prima era un
politico, adesso fa politica pur senza nominarla, forse perché sospetta da tempo che “la Transizione
–sono parole sue – stia diventando Decadenza.”
Lui preferisce chiamarla cultura, e ne sa. Un paio di anni fa andò a New York a raccomandare agli
americani i valori dell’Umanesimo Latino, conciliando globalizzazione e Alto Medioevo,
personalismo cristiano e identità europea.
L’avvocato ex deputato è oggi un mecenate della finanza, un sindaco a latere, un post democristiano
che da anni si è messo in testa di fare di Cassamarca il polmone di Treviso non uno sterile forziere
alla Paperon de’ Paperoni. Per questo scommetto che sarebbe una autentica sciagura veneta se,
passando la riforma del ministro Tremonti, la Fondazione trevisana perdesse il suo motore culturale,
sempre a pieni giri, a cominciare dall’università. Il Sile vedrà e dirà.
In Casa dei Carraresi, di proprietà della Fondazione, De Poli mette sei miliardi (in lire) all’anno.
D’altra parte, per produrre l’evento Van Gogh la fabbrica deve tirar fuori 12 miliardi. Le 162 opere
sono un capitale, assicurato per un valore di 2000 miliardi, dei quali 160 per un solo capolavoro, “Il
grande seminatore”. Il trasporto di un quadro può costare 70 milioni.
Se gli si chiede quale sia il ritorno economico per la sua Fondazione, il presidente fulmina più
scettico del solito l’interlocutore. Considera il tutto “un fatto sociale”, e ciò deve bastare. Un fatto
civile, la promozione della comunità, la ricchezza dello scambio dei saperi: un Pil senza prezzo, un
brevetto da non perdere più.
Eppure, nella terra della partita Iva ogni 7/8 abitanti, Fabbrica Carraresi spalma sul territorio anche
un indotto non da poco e monetizzabile. Sulla base di un parametro in uso nel settore turistico, si
potrebbe calcolare che, in media, ogni visitatore delle grandi mostre dell’impressionismo spenda in
città non meno di 100 mila lire: con Van Gogh, una previsione da 50 miliardi almeno. Le
prenotazioni negli alberghi arrivano fino a Pordenone.
De Poli ha una sua teoria sul successo dell’Impressionismo: “Ha dialetizzato – spiega – la natura, il
paesaggio e la persona rispetto alla perfezione assolutamente immobile della pittura classica.” Per
questo è arciconvinto che il pubblico preferisca i Monet, Cézanne e Van Gogh perfino a Raffaello.
Una volta gli ho chiesto di Marco Goldin: “Un tosàto eccezionale”, mi ha risposto al volo,
aggiungendo di aver cominciato a conoscerlo bene attraverso le sue poesie. Il “tosàto” si dichiara
innamorato da sempre degli Impressionisti per l’”emozione dei colori” ( espressione che, forse, si
potrebbe anche invertire con il “colore delle emozioni”).
Si è laureato in storia dell’arte, l’ha insegnata, ne ha scritto sul Giornale di Montanelli, considera
suoi maestri il critico Roberto Tassi e lo scrittore Giovanni Testori. Dal calcio giocato deve aver
imparato a pensare veloce.

E’ giovane e, nella sua piccola impresa Linea d’Ombra, punta su una pattuglia di dieci giovanissimi
laureati. Goldin riesce a portare a Treviso opere praticamente inamovibili, ma per farcela gira il
mondo come un matto, punta tutto sul contatto personale, offre contropartite, mostra progetti,
espone garanzie e budget, non viaggia in rosso.
A suo modo, è un imprenditore fai da te ad alto valore aggiunto. Importa l’arte ed esporta
l’immagine di Treviso. Il suo capannone industriale è la più bella Casa di Treviso.
Con lui, Fabbrica Carraresi è diventata la capitale internazionale dell’Impressionismo e un caso
organizzativo che all’estero vorrebbero copiare. Per far tornare tutti i conti, Goldin ha un miliardo
dello sponsor Euromobil, i biglietti, il catalogo, le magliette, le cartoline, le penne, tutta la
commercializzazione fatta in casa. E la Fondazione di De Poli, beninteso, assieme al quale sta
costruendo una tradizione.
L’impresa funziona attorno a un’idea. Con determinazione tutta nordestina e, se ho ben capito, con
spirito da museo americano.
La provincia di Treviso dà supergiù il 16/17 per cento del reddito del Veneto. Con Fabbrica
Carraresi, Dino De Poli e Marco Goldin si sono inventati una nicchia impressionante.
Impressionista, mi correggo.