2002 marzo 11 Seedorf

2002 marzo 11 – Seedorf

Secondo me Clarence Seedorf è l’incarnazione di tutti i paradossi del nostro italianissimo Pallone,
figlio di Eupalla, la dèa inventata da Gianni Brera nostro. Ogni volta che lo guardo, faccia di
gomma nera, trecce a lunga conservazione e occhioni miti del genere “t’amo pio bove”, non so
proprio perché ma mi viene sempre da dargli più anni di quelli che ha. E Seedorf ne ha soltanto 26,
anche se il suo curriculum è lungo un chilometro, con dentro tappe come Ajax, Real Madrid e,
dulcis in fundo, Inter.
Lui è olandese del Suriname, uno di quei pezzetti di mondo usati per i soliti quiz: qual è la
capitale?Chi indovina, nel caso Paramaribo, si fa in due e due quattro fama di professore. Treccione
Seedorf è proprio della capitale dello staterello sudamericano, ex colonia, dove si vive larghi, con
meno di tre abitanti per chilometro quadrato. Al confronto, l’Italia con 190 è un’ammucchiata.
Nel Suriname, si vive larghi ma non tanto comodi: fanno buoni affari soprattutto i tagliatori di
foresta amazzonica, i trafficanti di oro e di cocaina; per il resto, il reddito pro-capite resta
bassissimo. Una decina di anni fa, il presidente della Repubblica si chiamava Ronald Venetiaan!
Sarà mica partito da Cannareggio? Boh.
Fatto sta che Seedorf era destinato a emigrare essendo in possesso, fin da ragazzino, di una miniera
tra i piedi; destro e sinistro per me pari sono, come ha potuto constatare la Juve sabato sera a San
Siro. Soltanto Roberto Benigni, qualche minuto dopo, ha dimostrato altrettanta classe.
L’olandese dell’Inter sembrava voler dimostrare come si fa. Al volo, di sinistro; di classico shoot,
con il destro: ecco, si deve fare così. Hanno impressionato l’aplomb, la compostezza, lo stile, la
precisione, la potenza. Questi sono gol che ti regalano attimi di rapimento estetico, come accendere
la lucetta in Duomo nella mia Castelfranco e dare un’occhiata alla Pala del Giorgione.
Bene.Con queste premesse, tu pensa che Seedorf è rimasto in panchina una vita in questi anni, più
dello stesso Montella a Roma, il che è tutto dire. In mezzo a un’orgia di stranieri importati in Italia
anche quando non servono, sembra diventata una specialità nostrana mettere spesso a disagio
campioni a 18 carati, come Seedorf appunto.
Il pari della Juve è della Juve; il pari dell’Inter è soprattutto di Seedorf, questa la differenza, come
di regola nel football, sport super collettivo e, allo stesso tempo, individualista fino all’anarchia.
Nonostante le apparenze spesso ingannino, alla fine tutto diventa logico.
Ho notato ad esempio la meccanica razionale del pareggio (1-1) della Juve. Lo stopper dell’Inter,
Cordoba il colombiano, lascia la posizione per tentare il gol nell’area della Juve. In acrobazia, quasi
cicca il pallone giacendo sconsolato a smoccolare sul mancato 2-0, mentre parte il contropiede dei
bianconeri, specialisti in materia quanto la Fiat in auto utilitarie.
Provate un po’ ad andarvi a controllare, sul colpo di testa-gol di Trezeguet, chi è il difensore
dell’Inter che non ce la fa, non dico a disturbare l’asso francese, ma nemmeno a fiatargli addosso.
E’ proprio Cordoba di Medellin, rientrato alla svelta ma in grave debito di ossigeno dalla sua
avventura in attacco.
Nel calcio, anche il caos conserva sempre un filo. Per questo, Inter-Juve è stata finalmente la partita
che ci si aspettava da un pezzo, dopo mesi mediocri nobilitati soltanto dagli schemi del Chievo e del
Bologna.
Ho fatto una piccola controprova, guardando ieri pomeriggio su Stream proprio Bologna-Milan.
Non c’è mai stata partita perché soltanto il Bologna assomigliava, per ritmo, a Inter e Juve della
sera prima: il Milan, povero diavolo, viaggiava a dieci chilometri all’ora in meno. Sembrava fermo,
rispetto alla partitissima ma anche rispetto al piccolo capolavoro di squadra costruito da Francesco
Guidolin.
Un altro bel mistero è Del Piero, che mi ricorda sempre di più un romanzo e il film di riferimento:
”L’incompreso”, con qualche malinconia e scocciatura di troppo nel rapporto con l’universo
quotidiano. Del Piero è perseguitato da Del Piero, su questo non ci piove, nel senso che il ricordo

del pubblico rimanda a un campione che oggi sembra disperso da qualche parte, tra ombre, cadute,
dribbling sempre più impossibili e gol proibiti.
Anche il suo pubblico lo ha fischiato, ma rigorosamente in nome di un Del Piero che tutti ricordano
benissimo e che, tuttavia, si stanno stancando di aspettare. Non è crudele fischiare, anzi: fischiare è
l’igiene del tifo; altro non è che la polpa amara dell’applauso. Un modo di pretendere, non di
linciare.
Il tifoso ha diritto di fischiare gli assi, come i loggioni i tenori. Se un calciatore costa un miliardo al
mese o se un cantante vale per la Rai 525 milioni a serata, come ho letto di Celentano, l’essere
esigenti è la sola residuale decenza.
Inter-Juve, avendo scatenato soltanto applausi, è stata le sette bellezze.