2002 aprile 14 Finale campionato

2002 aprile 14 – Finale di campionato

Calma, non è successo niente. A 270 minuti dalla fine del campionato, si può fantasticare ancora
tutto visto che, là davanti in classifica, nessuno viaggia in Ferrari verso lo scudetto.
Tra Inter, Roma e Juve si corre oramai su strada sterrata, tra nuvoloni di polvere, testacoda,
sbandate e disperati ricuperi in curva. La Juve è spettacolare in autoreti (degli avversari), l’Inter è
perfetta nel salvare a turno i suoi assi dal caos (degli schemi); soltanto la Roma è più sorniona, con
quel suo gioco un po’ vaticano, che non dà nell’occhio ma non molla e conserva fino all’ultimo la
fede tricolore.
Faccio una premessa, tanto per non confonderci le idee. E cioè parlerò qui di Ronaldo non
dell’Inter: voi mi direte, e non a torto, che Ronaldo incarnò a suo tempo l’Inter stessa e che,
ritornato lui, ritorna la vera Inter. Giusto.
Questa sarebbe logica aristotelica, non fosse che da tempo l’Inter sembra sistematicamente
sull’orlo del collasso: la sua modestia collettiva è pari alla bravura personale, da Seedorf a Recoba,
da Vieri a Ronaldo finalmente. Insomma, quando si gioca contro l’Inter fanno bellissima figura
anche Atalanta e Brescia, cui vanno a volte i punti a volte i complimenti a volte sia quelli che
questi. Più che di gruppo, i gol dell’Inter sono proprietà privata, ad personam.
E’ la dura legge di San Siro, stadio oramai inquieto più di un reparto di cardiochirurgia. Per
fortuna, come sostiene lo scrittore anglo-veronese Tim Parks, i tifosi ragionano soprattutto da
innamorati e, dunque, sono capaci degli stessi sogni e delle identiche illusioni sperimentabili in
amore. In questo, gli interisti sono imbattibili e credono a vita.
Oltretutto, ve ne sarete accorti al volo, Ronaldo non è più lo stesso di qualche mese fa, nel senso che
svela meno felicità e più dispetto. Mettiamoci nei suoi panni: da due anni ignora perfino la sua
permanenza tra gli atleti; ha sofferto al ginocchio due recisioni da svenimento; si è sorbito mesi e
mesi di preparazione da trappista per sentirsi, alla fine, circondato da un oceano di scetticismo. Mio,
nostro, di tutti, alzi la mano chi no: forse soltanto Massimo Moratti, ricco e santo.
Solo che, tra un ritorno e una ricaduta, tra un annuncio e un supplemento di istruttoria, il devoto
rapporto di Ronaldo con l’ Inter, vale a dire del tifo con la sua reliquia, ha conosciuto negli ultimi
tempi un qualche disturbo. A volte anche le favole possono velarsi, magari per un niente, magari
per una innocente apparizione al carnevale di Rio, oppure per l’intrusione della Nazionale carioca, o
anche per la scelta di guarire in Brasile piuttosto che a Milano.
Sì,sì, nel calcio ci sono di mezzo Tir di denaro, spot a vagoni, interessi da manicomio, però, stringi
stringi, niente e nessuno riusciranno mai a neutralizzare passioni e sentimenti. Sicchè Ronaldo si è
incavolato , ha messo il muso alla stampa, finendo per mostrare qualche occhiata di ferro che non
gli conoscevamo.
E’ questo Ronaldo, meno idolo e più in carne e ossa, che ieri è andato due volte in gol, con due
destri cattivi, il primo insistito sul palo, il secondo al volo come lui usava soprattutto in Olanda,
luogo santo degli attaccanti che ci provano sempre, anche rischiando la brutta figura. Poiché più
sofferta e incarognita, la sua beatitudine non è stata per nulla da “fenomeno”: nemmeno per sogno;
mostrava fame di successo e nient’altro, fame allo stato puro. Zero favola, tutto orgoglio
professionale.Più vendetta che festa.
Non so se Ronaldo abbia più in testa l’Inter o la Nazionale brasiliana, ma anche qui lo capisco
benissimo,e del resto è lui stesso a ripeterlo nelle interviste. Il Mondiale 1998 in Francia e contro la
Francia è stato vissuto urbi et orbi come il minimo storico del suo curriculum: soltanto tra un
mesetto e mezzo in Giappone lui ritroverà l’occasione che aspetta da quattro anni. Non puoi vivere
da simbolo del football planetario – “il più forte calciatore al mondo”- e restare prigioniero di
quell’immagine parigina di pallone d’oro sconfitto e prostrato.
Secondo me, ieri a San Siro aveva addosso un mare di cose e di ombre, assieme a una voglia a
stento repressa di massacrarle. I poeti non lo ammetteranno mai, ma Ronaldo ha segnato prima per
sé, poi , alla pari, per l’Inter e per il Brasile.

E’ lui la novità dello scudetto; vecchio tutto il resto. La solita Inter anarchica, la solita Juve
melmosa, la solita Roma volpina: il solito ingorgo di desideri.