2002 agosto 19 Sport

2002 agosto 19 – L’arpasto

L’arpasto, “harpastum” in latino, era il pallone degli antichi romani.
Ne parla ad esempio Marziale, famoso scrittore di epigrammi con i quali prendeva in giro i vizi
del suo tempo come fa oggi Lino Toffolo tra comicità veneziana e humour muranese.
Gli inglesi se la sono presa perché l’Enciclopedia Treccani dello sport racconta adesso che,
conquistata l’Inghilterra, i legionari di Giulio Cesare ammazzavano il tempo giocando tutto il
santo giorno con il rotondo arpasto: guerra, pane e pallone.
”Giù le mani dal football!”, è subito intervenuto sull’argomento il prestigioso “Times” di
Londra, per ribadire che il calcio è nato nei loro college dell’Ottocento e non ha predecessori,
tanto meno nei soldati di Roma in trasferta al Nord.
Hanno ragione gli inglesi. Di palloni, palle e giochi di palla è piena la storia, dalla Cina a
Firenze, ma di football ne esiste uno solo ed è rigorosamente di cuoio Made in England.
Marinai di Sua maestà britannica lo esportarono anche in Italia, a Genova in particolare.
Ma a me l’harpastum è venuto in mente ieri sera sentendo alla radio il bollettino dei nostri
campi di calcio.”Schifoso” a Roma, “tutto fango” a Empoli, una vergogna nazionale a San Siro.
Lo stopper dell’Inter Cannavaro, capitano della Nazionale, ha urlato che su quel terreno “il
pallone sembra un coniglio impazzito.”
L’harpastum appunto. Due millenni fa il pallone dei legionari romani rimbalzava probabilmente
come a San Siro. Una fabbrica di infortuni, oltretutto.
Ma tu pensa.
Milano è Milano, la città più europea d’Italia. Sullo stadio comunale di San Siro si esibiscono il
Milan dell’uomo più ricco d’Italia ( Silvio Berlusconi) e l’Inter di un petroliere (Massimo
Moratti). All’infame loro rettangolo di erba secca e rognosa si dedica non un giardiniere o un
custode in pensione, ma un vero e proprio Consorzio specializzato che ha in gestione
l’impianto. Possibile che con il 2003 già alle porte e con tanti padrini non si riesca a presentare
un terreno decente?
Le due squadre milanesi dispongono di uno stadio bellissimo, con il pubblico addosso al gioco,
ma di un campo da legionari. Al contrario, la Juve ha un discreto prato ma un pessimo stadio,
con la gente distante, dunque condannata a un tifo freddo, più assomigliante a un’eco che
all’urlo. E queste sarebbero le tre squadre che, secondo tradizione, si giocano oggi l’80 per
cento degli scudetti del campionato che i pirloni di turno si ostinano a definire “il più bello del
mondo”.
Durante le ultime partite di coppa ho fatto un piccolo esperimento di zapping televisivo,
saltando con il telecomando da Manchester a San Siro. La sensazione era di passare non da un
campo all’altro, ma da un mondo a un altro mondo; dal verde alla sabbia; dal progresso al
sottosviluppo; dalla cura all’incuria. (Con contorno, in Inghilterra, di numerosissimi bambini,
specie praticamente scomparsa tra gli spettatori dei nostri stadi violenti).
Gli assi se la cavano sempre anche su un brutto campo. Una volta ho visto Maradona toccare
sul pantano come tra le margherite; l’incommensurabile Van Basten idem, trasformava zolle
ostili in tulipani. Ma per quanto bravi, anche i migliori cedono il 30/40 per cento della loro
classe su terreni all’italiana.
Secondo Cannavaro si può perdere anche il 50 per cento. E il più completo difensore del
mondo, il milanista Paolo Maldini, aggiunge senza la minima esitazione che San Siro è il
peggior campo d’Europa. In questo senso Milan e Inter sono tecnicamente ammirevoli,
dovendo a turno penare “in casa” anche contro il proprio impianto.

Ma poi questa storia dei campi-simbolo che fanno schifo mette a disagio anche da un altro
punto di vista. Offrono l’immagine di un calcio farraginoso, che fa fatica perfino a copiare gli
esempi già collaudati in Europa. Così anche nei bilanci.
Stamattina a Milano l’avv. Campana riunisce i calciatori rappresentanti di tutte le squadre di
serie A e B per discutere, indovinate?, “la crisi economica delle società”. La Fiorentina è fallita,
la Lazio è oramai in mano alle banche e senza stipendi, il Napoli denuncia 152 miliardi di debiti
in serie B, e si contano sulle dita di una sola mano i Club in ordine con i conti.
Pace e bene con l’arpasto di Giulio Cesare.