2001 Aprile 9 Immagini/2

2001 Aprile 9 – Immagini /2

Ieri si diceva: hai sentito? Hai letto? Oggi: hai visto? Anche le parole vanno mostrate in televisione,
strumento fantastico che mangia ogni altro mezzo: la tv televizza tutto.

Alla radio, la trasmissione “Zapping” vive sulle aperture dei telegiornali in diretta: la radio racconta
la tv. Ma la televisione fa anche edicola, legge in anteprima i giornali, trasformando la parola scritta
in immagine attraverso il massimo della contaminazione. Il detto, lo scritto, il visto, frullati insieme.

Se Porta a Porta, faccio un esempio, funziona meglio di Montecitorio vuol dire che sta cambiando
qualcosa in profondità. Sarà un bene sarà un male, di sicuro mutano i rapporti di immagine, in altre
parole, i nuovi rapporti di forza: più debole la politica, più forte il messaggio. Con un paradosso tutto
televisivo, che vede la stampa in posizione essenzialmente gregaria. Lo stesso teleteatrino, che prima
stanca il consenso a vantaggio dell’indifferenza, aspira poi a orientare proprio il popolo degli incerti
e dei confusi: un flottante di 4/5 milioni di voti a caccia di fiducia.

In Francia hanno calcolato che, nel bene e nel male, tutto il sistema dei valori dell’Occidente si
sintetizza in 210 parole: scegliere, tra queste, le poche efficaci, significa vincere le elezioni. Lo slogan
è il contrario della banalità, visto che porta in superficie materiali profondi.

Da noi la rivoluzione fa data dal 26 gennaio 1994, quando Silvio Berlusconi annunciò l’ingresso in
politica. Lo fece, questo il punto, inviando alla stessa ora e a tutte le televisioni una videocassetta
registrata ad Arcore con il suo messaggio di 9 minuti e 24 secondi. “L’Italia è il paese che amo…”
così cominciava.

Cominciava anche un’altra storia della comunicazione, che in meno di dieci minuti mandava in
pensione mezzo secolo. Cominciava inoltre un colossale equivoco, ancor oggi duro a morire, secondo
cui Berlusconi sarebbe un fenomeno a 21 pollici e a 0 politica, del tutto virtuale.

Come noto anche ai sassi, riempì invece un vuoto assolutamente politico, per niente mediatico anche
se usò la televisione da Signor Tv del mestiere.

Qui la differenza: ce la fece in pochi mesi usando la televisione come super-acceleratore del
messaggio, che era però politico, erede di un blocco sociale, non di uno spot.

Nemmeno ai Caraibi un fenomeno virtuale durerebbe sette anni; figuriamoci in un paese disincantato
come il nostro. Il guaio è che, tuttora a corto di cultura di massa e di regole moderne, restiamo
lamentosamente confusi come ad ogni occasione perduta.

A pensarci meglio, è già un mezzo miracolo che gli “incerti” siano soltanto il 30 per 100. In qualche
modo, ci protegge alla lunga l’astuzia di Macchiavelli.