1995 giugno 5 L’Italia losca e il PM

1995 giugno 5 – L’Italia losca e il PM

Da una parte i Craxi, i Pillitteri, i Cerciello, dall’altra Antonio Di Pietro: scegliete voi, io ho già scelto
da una vita e insisto. Sto con l’ex pm di Mani Pulite.

Ieri su “La Repubblica” il magistrato ha confessato: “Sapevo sin dall’inizio che me l’avrebbero fatta
pagare”. Nessuna sorpresa, lo sapevamo anche noi e su questa pagina lo scrivemmo più volte.

C’è un’Italia losca che non sopporta di vedersi disarmare. L’Italia dei dossier anonimi, dei poteri
occulti, dei corpi dello Stato separati dagli stessi corpi d’appartenenza. L’Italia degli affari riservati,
delle provviste di tangenti, delle finanziarie a caccia di paradisi fiscali. L’Italia che ha fatto pagare ai
contribuenti, chi al lavoro chi in pensione, i conti della corruzione politica, del rampantismo sociale
e del cinismo economico.

Questa Italia odia Di Pietro e ha già vinto spingendolo alle dimissioni. “All’inizio di Maggio – spiega
l’ex pm – mi sono dimesso definitivamente dalla magistratura proprio per poter affrontare con
serenità questa mia nuova battaglia”.

Ma non basta. L’Italia delle trame, dei colpi di spugna, delle fogne e dei ricatti, ha bisogno di smontare
Mani Pulite, di isolare i suoi magistrati dall’opinione pubblica. Di queste mortali solitudini fu
bersaglio Falcone.

La mafia uccide, la corruzione no. La corruzione si difende con le sue stesse armi, tentando di
sporcare, specialista in veleni.

L’avvocato Gaetano Pecorella, presidente dell’unione delle camere penali e noto difensore di molti
imputati di Tangentopoli, ha spiegato ieri senza esitazione: “Di Pietro, dopo i politici, ora ha toccato
poteri forti. I dossier anonimi che lo accusano sono prodotti da elementi abituali a fare le indagini con
le opportune tecniche”. Parole come pietre, soprattutto per i servizi segreti, vecchia pattumiera
d’Italia.

Al resto provvedono i sepolcri imbiancati e quella che lo stesso Di Pietro chiama “la delinquenza per
bene”, la peggiore. Giovanni Falcone fu quasi linciato a colpi di allusioni soltanto per aver accettato
un incarico ministeriale da Martelli: siccome il guardasigilli era socialista, doveva per forza trattarsi
di un’operazione poco commendevole!

Di Pietro in persona ha chiesto alla procura di Brescia di girare come un calzino la sua vita privata,
prima, durante e dopo Mani Pulite. Anche se da almeno tre anni risulta esposto a ogni tipo di ispezioni
e di riflettori, l’ex pm era tenuto a farlo. Semmai, ha il torto di non averlo fatto in anticipo.

Prima di entrare in magistratura, Di Pietro è stato un pò di tutto, impiegato, operaio, emigrante,
poliziotto. Porta con sè una sua storia di fatica, di sacrifici, di vita tirata, di tanto sudore e di poche
pandette.

Non stupisce che abbia chiesto un prestito di 120 milioni per prendere casa e una Mercedes usata che
perdeva i pezzi, quando era ancora uno sconosciuto sostituto procuratore di provincia. Né che sia
stato poco prudente nello scegliersi il creditore: l’ingenuità è la preda preferita della malizia.

Inquieta piuttosto che Di Pietro si sia illuso di annacquare i veleni lasciando il pool. Il suo torto è di
non aver riflettuto abbastanza sul fatto che ci si può dimettere da pm, non da simbolo. E i simboli
debbono mettersi in piazza nudi, prima di essere inevitabilmente spogliati.