1993 settembre 26 Gong per la nuova classe politica

1993 settembre 26 – Gong per una nuova classe politica
Al Consiglio superiore della Magistratura è cominciato il mea culpa. Finalmente qualcuno s’è accorto
che da anni i giudici si sono autogovernati secondo «logiche di potere». Un bel passo in avanti. Un
altro, non meno decisivo, lo stanno facendo gli industriali, soprattutto i giovani. Il loro leader,
Fumagalli, ha detto chiaro e tondo che il capitalismo italiano si deve sbloccare dal potere. E che porta
le sue non trascurabili colpe nella spartizione del malaffare. In questi ultimi giorni, la voglia di dire le
cose come stanno prende vigore. Anche l’omertà mostra le crepe. L’indefinibile De Lorenzo ha chiesto
scusa a questa specie di Parlamento. Di fronte ai giudici, Andreotti ha ritrovato un po’ di memoria su
certi assegni che più in nero di così non si poteva. Ora Craxi desidera intrattenersi con i magistrati
perché trova «intollerabile» che qualcuno la faccia franca. Nel collasso del sistema, c’è di tutto.
Vendetta, opportunismo, viltà, paura. Ma anche settori che intendono sinceramente voltar pagina. Ceti
che riescono a guardarsi in faccia. Pezzi di società e di istituzioni pronti al mare aperto del
cambiamento anche culturale. Questa è la strada maestra, la sola che ci porterà da qualche parte.
Rendersi conto che il processo al sistema ha oramai ben poco da svelare e che la nuova frontiera passa
attraverso la nascita di un’intera classe politica. Questione di uomini e di tempi. E i tempi valgono
quanto gli uomini, come in ogni svolta di democrazia. Un sacco di buontemponi finge di non capire che
i magistrati continueranno a indagare finché s’imbatteranno nell’illegalità. La stessa soluzione politico-
giudiziaria proposta dai tanti Nordio, Colombo, Di Pietro non c’entra nulla, meno di zero, con la qualità
della rivoluzione in atto. Può sveltire i processi, accorciare l’emergenza, strappare il Paese
all’autoflagellazione, non reinventare la politica e tantomeno le regole della sua selezione. Mani pulite
è il ko al vecchio, non il gong del nuovo. A questo deve provvedere il popolo, così come emerse tra il
‘200 e il ‘300 nei Comuni, prima vera fucina di democrazia nella storia d’Italia. Popolo, non branco.
Quanti illusi in circolazione, quanti autoinganni. Pensiamo davvero di potercela fare buttando via
qualche etichetta? Rigirando un po’ di facce? Aggiustando i consumi della partitocrazia? Sfiorando
appena il bubbone dello Stato? Per carità, saremmo dei matti a crederlo anche per un solo attimo. Qui
serve una fatica bestiale sostenuta dall’amore. Faremo sorridere qualcuno, ma non ci vergogniamo di
chiamare così quella spinta tutta speciale a buttarsi in mischia per il proprio Paese o per la propria città,
quando i ponti con il passato sono oramai ridotti a passerelle sfilacciate sul vuoto. Da Roma a Venezia,
ovunque, il mestiere più difficile è oggi quello del candidato. Ma è la prima pietra, il dopo che già
incalza.
26 settembre 1993