1992 agosto 15 Accordo spartitorio

1992 agosto 15 – Accordo spartitorio

Lasciamo perdere l’etica. Qui si parla rigorosamente di potere, di appalti, di imprese la cui
“affidabilità” consisterebbe nell’accettare o no la concussione ambientale dei politici. In ballo sono
le leggi e il denaro dei contribuenti, non la coscienza e l’anima, già da tempo amnistiate.
“Quando i partiti sono appaltati ai boss e ai faccendieri, non c’è più politica”. L’ha scritto il
socialista Rino Formica in una relazione indirizzata a Craxi.
Ci sono scandali e scandali. Anche quello che infesta il Veneto è uno scandalo politico. Nel senso
che ha corrotto opere pubbliche, mutato la destinazione d’uso dei partiti, istituzionalizzato il
finanziamento illecito a vantaggio di “correnti” o di “personali attività”, come asseriscono i giudici
veneziani nel documento inviato al Parlamento per richiedere l’autorizzazione a procedere contro
gli ex ministri Bernini e De Michelis.
In riferimento alla terza corsia nel tratto Venezia-Padova e alla bretella autostradale Marco Polo, i
magistrati segnalano a pagina 10 un meccanismo eccezionalmente interessante e a dire il vero
pochissimo pubblicizzato in questi mesi. “Le pressioni – vi si legge – verranno da Ferlin Franco per
le imprese di area Dc, da Casadei Giorgio per quelle di area Psi, da Gallinaro Luciano per le
cooperative di area Pci”.
Nessun passaggio meglio di questo fa intravedere il “sistema”. Quando si tratta di spartire i lotti di
un’opera pubblica, i costruttori vengono censiti per colore politico. Ma per non correre il minimo
rischio, se necessario il sistema si garantisce. E, in democrazia, quale garanzia può mai funzionare
meglio della stessa opposizione?
Dunque, quando si incontrano gli spezzoni più potenti della Dc e del Psi veneti, occorre spesso
evitare la seccatura delle interrogazioni in Regione, dei ricorsi al Tar, degli esposti in Procura, delle
lettere ai giornali. Se anche l’opposizione storica sta tranquilla, è fatta; a strepitare restano pochi
cani sciolti, qualche verde irriducibile, dossier anonimi.
Le intercettazioni telefoniche e gli interrogatori degli imprenditori precisano questa procedura. Se i
Ferlin e i Casadei gestiscono tangenti, alle cooperative rosse può bastare la partecipazione ai lavori.
In termini politici, il prezzo risulta altissimo; pur di non farsi tagliar fuori almeno dal fatturato degli
appalti, finiscono per avvallare il sistema. Fanno da palo; senza il loro placet, anche i Ferlin e i
Casadei – i Signor Tramite dell’accusa – incontrerebbero qualche difficoltà in più.
Un’altra considerazione chiarisce l’estensione del sistema. E’ bastato che dall’inchiesta veneziana
emergessero un’ammissione del manager della Grassetto e un foglietto di appunti perché la
scheggia lacerasse in profondità Padova con un effetto domino tuttora attivo.
Il caso-Padova esula tuttavia dalla spartizione imputata dai giudici al Signor Tramite di Bernini &
De Michelis. Gli obiettivi sono identici, i soggetti no, rispettando così il policentrismo veneto anche
nella corruttela. Su modello regionale, la torta si provincializza.
Sicchè tutte le inchieste si assomigliano, da Venezia a Verona, da Padova a Vicenza, ma ciascuna si
radica nel territorio tranne che per le grandi infrastrutture. Lì, soprattutto nel regno della
legislazione straordinaria o speciale, sotto il segno dell’urgenza e della trattativa privata, il sistema
di potere finalmente confessato dai costruttori sale di rango politico e di livello istituzionale. Per
quanto insidiata da cento guai, Venezia resta pur sempre capoluogo del Veneto, seconda Baviera
per ricchezza.
Ci vorranno mesi e mesi per dare una risposta processuale al lavoro dei giudici e degli investigatori.
Ma la società veneta, noi compresi naturalmente, deve fare fin d’ora tutti i conti con sè stessa, come
dovrà del resto Milano, sperando l’una e l’altra di rimorchiare l’Italia che ancora non c’è, invece di
farsi prima o poi ingoiare dall’Italia che da troppo tempo sopravvive.
Ci spieghiamo. A metà degli anni ’70, Gianpaolo Pansa intervistò a Verona il senatore dc
Trabucchi. Il quale gli disse:” Bisaglia può fare molto per il Veneto. E mi auguro che riesca a

staccarsi dai sistemi con i quali si è fatto strada. Per cui un giorno si possa dire di lui che è un fiore,
anzi, un giglio nato da un letamaio”.
Di fronte a quel giudizio, Bisaglia rispose al giornalista: “Io non voglio essere un giglio”. Ma rifiutò
altrettanto categoricamente il riferimento al “letamaio”.
Quando Pansa, allora inviato del “Corriere della Sera”, gli domandò con quale immagine avrebbe
sostituito quella del fiore nato dal letamaio, Antonio Bisaglia non ebbe esitazione:” Bisaglia – disse
di sè stesso – è l’espressione tipica della zona più rossa del Veneto e ha dovuto affrontare tutte le
difficoltà conseguenti: dentro e fuori la Dc”.
Nessuno, oggi, merita alibi piccoli e grandi. Nessun presunto letamaio costituisce un prezzo semmai
pagato alla durezza dei tempi. Oggi è razzia della cosa pubblica. E basta.