1991 marzo 19 Il cerino acceso

1991 marzo 19 – Il cerino acceso
Le Istituzioni, Quirinale compreso, favoriscono la confusione della e sulla politica. Un piccolo
esempio? Un sondaggio d’opinione realizzato dalla «Makno» per il Corriere della Sera ha registrato il
consenso del 56% degli intervistati a favore di Cossiga, e un identico 56% a sfavore delle elezioni
anticipate che lo stesso Cossiga aveva minacciato contro questo Governo e contro questo Parlamento.
Come dire che la «gente», alla quale tanti demagogicamente si appellano, paga contraddizioni d’ogni
tipo. Gli italiani non hanno alternativa quando tutto si mescola, l’apparenza con i contenuti, i giochi
con i problemi, i messaggi in codice con i programmi. A riprova che alla gravità della crisi corrisponde
provvidenzialmente la maturità della nostra democrazia, è già rassicurante che nessuno tema o auspichi
un colpo di stato, come a metà degli anni Sessanta. I trucchi più spregiudicati sono tuttavia all’ordine
del giorno. Soprattutto quello di far credere che andando di corsa a votare risolveremmo d’un sol colpo
questioni trascinate da anni: riforma delle Istituzioni, modernizzazione dello Stato, allineamento
all’Europa che incalza. La truffa è presto dimostrata. Tutti, ma proprio tutti, sono ad esempio d’accordo
nel potenziare sensibilmente le Regioni, compreso Occhetto che ha parlato addirittura di soluzione
«confederale»: non ci sarebbe nulla da attendere per passare dagli auspici agli accordi, e questa sarebbe
la riforma delle riforme perché incide direttamente sull’efficienza dello Stato, sulla responsabilità dei
cittadini, su un modo più europeo di stare in Europa. Di un solo dato si può essere fin d’ora certi: il
prossimo voto segnerà il trionfo del qualunquismo, cioè del disprezzo per la politica e per i politici. La
prima punita dal rigetto di massa; i secondi coinvolti in un giudizio sommario che non sa più
distinguere tra le molte persone per bene e una partitocrazia senza reputazione. I partiti erano tenuti a
rifondarsi un po’ tutti dopo la catarsi del comunismo. Occorrevano fantasia e senso storico per
sbloccare una democrazia fin dal 1948 bloccata, su un solo schema e da esso logorata, ma sul
cambiamento è prevalsa l’occupazione del potere. Nel terrore di perdere Ingrao oltre a Cossutta, lo
stesso Occhetto ha abbandonato per strada lo slancio di una nuova sinistra. Non a caso Craxi ha rotto
gli indugi. Con la crisi, punta in realtà alle elezioni per rastrellare voti a scapito di un Pds tutt’ora
smarrito. Presentando poi i socialisti come il partito della Seconda Repubblica, presidenziale oltre che
decisionista, ritiene di pagare meno di qualsiasi altro l’onda lunga del leghismo di protesta. Il calcolo
prevale su qualsiasi responsabilità di governo. Nessuno sembra rendersi conto del grado di sconcerto
diffuso nell’elettorato. Su che cosa si chiederebbe oggi agli italiani di votare quando persino il Capo
dello Stato, «garante delle regole», denuncia che la politica le sta abbandonando e, nel denunciarlo, lui
stesso le forza? È un gioco pericolosissimo quello di passare il cerino acceso agli elettori non tanto per
sapere ciò che la classe politica già sa, quanto per sfruttare disaffezione e insofferenza. Dice Bossi che
le Leghe porteranno in Parlamento cinquanta deputati: c’è da credergli sulla parola, ma la questione è
un’altra. Come utilizzarli poi, come ricavare dallo sfascio una forza in grado di costruire. Nel 1963 il
più istituzionale dei partiti, il liberale, ottenne più di 2 milioni di voti e 39 deputati, balzando di colpo al
quarto posto tra le forze politiche, con una campagna puntata sulla paura di centro-sinistra della piccola
borghesia. Quell’apparente, clamoroso successo non servì a nessuno, isolò il Pli, segnò l’inizio di un
lungo declino fino alla spersonalizzazione laica di oggi, con Altissimo ventriloquo di Craxi. Stiamo
consegnando la politica alle emozioni. Ma le emozioni costruiscono dittature o precarietà, non
democrazia.
19 marzo 1991