1989 gennaio 22 Se la scuola

1989 gennaio 22 – Se la scuola…
Nemmeno la scoperta dell’America che svelò l’altra faccia del mondo, nemmeno la Rivoluzione
Francese che radicò in Europa l’idea dell’eguaglianza nella libertà. La scoperta più rivoluzionaria nella
storia dell’uomo sta sotto i nostri occhi e supera tutte le culture: il nostro pianeta, è un insieme,
all’interno del quale nessun Paese può considerarsi un’isola e dal quale nessuna persona può ritenersi
separata. Non era mai accaduto prima. Anche se l’homo sapiens assomiglia spesso all’homo stupidus
che si trova nello stesso Cicerone, l’ambiente ci ha costretto a capire. È una novità straordinaria, tale da
provocare in noi mutamenti di generazione in generazione più profondi. Una vera bomba che scoppia
dentro la coscienza, più di mille Hiroshima. Una sperduta Chernobyl sovietica ha impedito di mangiare
l’insalata a Udine; un pezzo di foresta che brucia in Amazzonia ruba l’ossigeno a Padova; lo spray
utilizzato a Trento vola lontano ad aprire un buco sopra l’Antartide. Altro che variazioni di costume,
qui cambia il senso del mondo: l’ecumenismo della natura ridicolizza blocchi, frontiere. Anche se non
ce ne rendiamo ancora conto, siamo i pionieri di un nuovo modo di pensare la vita. Nuovo perché senza
alternativa. Da tempo non abbiamo più scelte, ma adesso lo sappiamo: ce lo suggerisce l’istinto di
conservazione. Posso sperare di vivere anch’io una vita di questo tipo?, ha chiesto un ragazzino di
undici anni agli studiosi della recente teletrasmissione di Piero Angela sullo stato della Terra. Quella
domanda cammina sul filo del rasoio tra fiducia e paura: non appartiene agli «infinitesimi dell’anima»
di un bambino particolarmente sensibile; è il quesito di tutti i giovani, il cuore del problema,
l’interrogativo più progressista che ci si possa porre oggi, domani. Ci sono i mezzi per coltivare la
fiducia e disinnescare la paura, a condizione di vincere il senso di inutilità, che altro non è se non
l’ultimo camuffamento del senso di morte. Se il mondo appare sempre più piccolo, si fa
paradossalmente più grande il timore di non riuscire a influenzarlo, come se questa rivoluzionaria
coscienza che tutto dipende da noi ci schiacciasse con la mole delle cose da organizzare. Qui bisogna
riscoprire il valore del gesto: non chiamarsi mai fuori, né come individuo né come comunità; rendersi
conto che l’opinione pubblica si forma come una immensa corrente sotterranea; sapere che le scelte
politiche ed economiche non maturano sotto vuoto spinto ma assorbono, molto più di quanto non
s’immagini, la pressione popolare e gli umori del tempo. La tecnologia ci aiuterà a dominare la
complessità; la responsabilità personale dovrà contagiare la società. Il destino non è segnato; le risorse
sono almeno pari ai pericoli e sicuramente l’uomo ne scoprirà di nuove: c’è chi, ad esempio, già
immagina che il prossimo sarà il secolo della luce, cioè dello sfruttamento intensivo di un bene
impalpabile quanto prezioso. La scienza del bene comune ha più che mai intatte tutte le possibilità di
indicare le alternative al catastrofismo. Da qualche tempo sta cambiando persino il linguaggio: il
termine «sviluppo» è in disuso; oggi si preferisce parlare di «crescita». Ma con gli slogan non si fa
strada; sarà molto più importante rivisitare il significato profondo della parola «sacrificio»: un’offerta.
Sacrificare oggi qualcosa del nostro comfort di massa, correggere i modelli, fermare i saccheggi,
legiferare sul territorio, mobilitare tutti noi è un’offerta al futuro. Abbiamo scoperto di abitare lo stesso
pianeta e di avere un soffio d’aria sopra la nostra testa. Ce ne siamo accorti, ed è stato come sbarcare in
un nuovo mondo, smarriti, senza sapere da dove cominciare, perché eravamo convinti che al centro
dell’universo ci fosse l’uomo e che l’ambiente fosse soltanto il nostro indistruttibile tiro a segno. È
vero: di fronte al dilagare dell’informazione, già da qualche anno eravamo stati avvertiti che il nostro
era nient’altro che un «villaggio» globale. Ma non ci avevamo fatto molto caso; il mondo in diretta ci
aveva fatto guardare non ancora vedere, né tanto meno capire. Ora sappiamo tutto, e non ci illudiamo.
Gli esperti affermano che ci vuole il «salto di qualità», né facile né comodo, oltre il muro degli interessi
di giornata: impresa, senza precedenti perché senza precedenti è la nozione dell’insieme e

dell’interdipendenza. Sappiamo però che si sta facendo faticosamente strada anche la certezza che il
vero affare non si misura soltanto in dollari. Se le nostre scuole, dalle materne all’università,
diventassero laboratori di uomini liberi di riconoscere – se non chi siamo – almeno dove abitiamo.
22 gennaio 1989