1988 giugno 6 Un valore senza tempo

1988 giugno 06 – Un valore senza tempo

Ci sono momenti in cui lo sport è un onore. L’atleta si vede nudo, in gara di sopravvivenza con se
stesso; i luoghi gli impongono un unico dilemma: arrendersi o superarsi.

L’ultima tecnologia dell’immagine ha filmato ieri sul Passo Gavia e a Bormio, una sofferenza
elementare, allo stato brado, il pianto, il tremore, lo svenimento, l’incoscienza, fra sterrati e precipizi,
neve e acqua gelata, nubi ad altezza uomo e pendenze del 18 per cento. Come quel giorno di
cinquant’anni fa quando al Tour De France, nella tappa partita da Briançon, Gino Bartali raggiunse in
discesa Sylvère Maes mentre il grande belga, piegato dai crampi del freddo, invocava la mamma.

È difficile dimostrare quali siano gli sport più duri, ma il ciclismo ha qualcosa di speciale, forse perché
ce lo portiamo dentro come il cimelio di un’altra vita, di soli pochi anni fa eppure già remota, pre-
moderna e pre-terziaria. Oggi può infocare la bicicletta anche un americano del Colorado, che vi pedala
sopra forte come un alpino, e non per questo il ciclismo ha venduto l’anima al fast-food del tempo
libero. Per quanto levigato, conserva sempre lo stesso arnese di lavoro sul quale la natura si esercita a
volte senza rispetto umano, non badando nemmeno alle sue stagioni.

Diranno che il Giro d’Italia ha esagerato, che non c’era nemmeno una baracca di ristoro, che poco
contra disporre di sofisticatissimi satelliti quando non si è in grado di prevedere le bufere, che
nemmeno se epico lo spettacolo merita il rischio dell’incolumità. Sarà certamente tutto giusto, ma
stavolta la prudenza ci avrebbe impedito di capire che la nostalgia è spesso un sentimento ingrato con il
presente.

A Bormio, la strenua fatica del ciclismo ha svelato un valore senza tempo. Domani è un altro giorno.

giugno 1988