1988 febbraio 12 Una terribile verità

1988 febbraio 12 – Una terribile verità
Polonia. Conferme sullo sterminio di migliaia di soldati italiani a Deblin

Quanti soldati italiani sono stati trucidati nel lager di Deblin, in Polonia? Per il settimanale
polacco «Stolica» sarebbero almeno diecimila, tutti uccisi dai nazisti durante la ritirata dalla
Russia. Le rivelazioni, però, non sarebbero tali poiché l’eccidio sarebbe già stato annotato in
alcuni documenti. Una «strage annunciata», dunque sulla quale la procura militare di Roma sta
ora indagando.
Non si sa con precisione quanti ma erano tanti, migliaia. Non hanno lasciato segno, perché li
ammazzavano nudi: nella terra qualche cucchiaio, bottone, cintura, anello. Si scopre che erano italiani
soltanto dagli oggetti di casa. Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene, minaccia Isaia. Il
tempo della guerra uccide anche i profeti.
Già esperti che si occupano oggi di questa contabilità che ritorna dal nulla raccontano: «Sparavano sui
prigionieri e obbligavano i loro compagni a scavare tunnel poco profondi. Quando morti o vivi si
trovavano sottoterra, facevano smottare il terreno seppellendoli tutti assieme». A Deblin, in Polonia, in
uno dei tanti lager, l’umanità fa storia senza l’uomo, lo spoglia dell’essere. Non un crimine di guerra, di
più, la negazione della persona anche come realtà convenzionale.
In una pagina dei Diari di Franz Kafka, si usa giustiziare il condannato in una cella senza testimoni.
Quando vi entra il boia, armato di pugnale, la vittima gli urla che si può giustiziare un uomo su un
palco, davanti ai giudici, ma non così, in solitudine, un uomo che scanna un altro uomo. Il boia gli
ricorda di non dar retta alle fiabe, poi compie il suo lavoro.
Non c’è mai stato uno stile per i boia, questo ci dicono le ombre che giungono da qui cinque ettari di
mattatoio polacco. A volte il boia si risparmia, fa il furbo, e dà sepoltura con le stesse mani del
condannato.
Sì, lo sappiamo tutti, lo sapeva la Bibbia, lo sapeva Gandhi, che la violenza ha partorito ovunque. Ma il
nazismo una specialità l’ha introdotta nel mondo, e ci rimane addosso come un parassita della memoria:
la diligenza dello sterminio. L’incubo organizzato come una festa, l’innocenza degli «ordini superiori»,
il più bell’esempio di disciplina a disposizione dell’ideologia.
Il ricordo di una guerra lontana restituisce oggi bottoni, cinture, cucchiai. Se la morte diventa
esponenziale, anche i pensieri vanno alla deriva con un dolore retrodatato, senza spoglie, impari.
Dai tunnel di Deblin, come dalle Auschwitz ebree, Dio non esce forse vivo ma l’uomo non può che
ricominciare daccapo. La pace è un’opera, non un miracolo.
febbraio 1988