1988 dicembre 31 Cin cin a metà

1988 dicembre 31 – Cin cin a metà

Da qualunque parte si guardi – saggistica, quotidiani, televisione – lo spettacolo è uniformemente
isterico. Il consumo si accompagna al mea culpa sul consumismo, il benessere alla nostalgia della
frugalità, lo sviluppo al rimorso per l’ambiente, il potere al crepuscolo della politica, la globalizzazione
allo straniarsi delle radici, il successo e l’immagine alla perdita di contenuti.
L’Istat assicura che non siamo mai stati tanto ricchi; gli americani ci considerano al sesto posto nel
mondo per qualità della vita; gli economisti prevedono per gli anni ’90 una rapida crescita economica;
il ministro del Tesoro Amato sostiene che il prodotto interno lordo avrà un buon futuro; siamo in grado
di finanziare Gorbaciov e di piantare aziende in Urss o in Cina mentre gli esperti definiscono
«superstar» la lira all’interno del pianeta monetario chiamato Sme. Allora, perché tanta insoddisfazione
nella società, quel «rancore» di cui parlò anche il rapporto Censis sulla situazione sociale del nostro
Paese?
Non un quesito di poco conto, ma con il quale bisogna fare i conti. La prima risposta è per così dire un
prodotto del sistema che, proprio perché in espansione, libera nella società nuove attese, alza il tiro dei
diritti, alimenta il bisogno di servizi. Quando la parola d’ordine è produrre, che almeno lo Stato aiuti la
gente a farlo: se non proprio in nome di sperdute virtù quirite, assai più realisticamente con l’efficienza
degli apparati, della burocrazia, delle istituzioni. In un quadro dove tutto è in movimento, soltanto la
macchina pubblica sembra lamentare il cambio rotto.
Ma è anche una questione di cultura, oltre che di servizi. Siamo un po’ tutti in affanno perché dobbiamo
reinventare tutto; persino un orizzonte di possibile pace ci mette addosso inesprimibile imbarazzo. Non
siamo «abituati» a un sacco di cose nuove, compresa la pace, e mai come ora abbiamo coscienza delle
contraddizioni.
In fondo, il simbolo più appropriato di questa doppiezza del vivere è il giocattolo che più fa schifo e più
si vende, quasi che l’oggetto conti in quanto oggetto e basta, senza ulteriori attributi. L’alieno da
sbudellare per far sorridere i bambini è nient’altro che l’ultima, goliardica finzione: le cose separate dal
loro senso.
«Oggigiorno – ha scritto qualche anno fa il teologo svizzero Hans Kung – taluni genitori constatano
sbigottiti che, come Nietzsche aveva profetizzato, con la religione è sparita anche la morale. Diviene
infatti sempre più chiaro che non si può, come Sigmund Freud avrebbe voluto, fondare un’etica in
modo semplicemente razionale, con la sola ragione».
Mito, fede o ragione; coscienza laica o cristiana, nessuno potrà mai togliere dalla vetrina del mondo la
domanda di valori. E forse è la loro carenza, così opachi imprecisati o soltanto verniciati come
appaiono oggi, a spiegare meglio l’apparente paradosso di questa fine anno, dove sembriamo tutti
chiedere scusa del tanto che abbiamo.
dicembre 1988