1987 settembre 05 Un mare di doveri e di guai

1987 settembre 05 – Un mare di doveri e di guai
Nel giro di un paio di giorni, più di dieci navi sono state attaccate con tecniche da pirateria: unità senza
bandiera, agguati notturni, missili anonimi. L’Onu firma risoluzioni; gli Usa lanciano ultimatum;
l’Europa ha in comune soltanto la non-cooperazione; l’Urss non s’immischia, il che vuol dire che
insegue molti vantaggi.
In queste condizioni, mandare la marina militare nel Golfo non è cosa da poco. Non siamo alla
«politica delle cannoniere» ma non siamo nemmeno a una regata di caorline. Quando si va armati dove
si spara, rischi se ne corrono sempre, perché nessuno sarà mai in grado di tracciare a tavolino il confine
tra «missione di pace» e missione di guerra.
Si va malvolentieri, però si doveva far qualcosa. Le navi mercantili non sono pezzi di latta sul mare;
sono territorio italiano: se qualcuno spara loro addosso, chi deve pensarci a difenderle o perlomeno a
esercitare con la sola presenza tutta la possibile forza di dissuasione?
Certo l’Onu. Ma l’Onu è sempre più una carta e sempre meno un potere. Sulla carta ha ragione
Andreotti, non fosse che l’Onu rappresenta da anni e da mesi un monumento di paralisi, soprattutto nel
Golfo. Persino la tregua è stata sfruttata fino all’ultima goccia: gli esperti calcolano che, nel periodo di
«cessate il fuoco» rispettato dall’Irak, l’Iran abbia incassato 25 milioni di dollari al giorno con uno
straordinario incremento della vendita di petrolio. Non occorre specificare l’uso che di quelle entrate
farà Khomeini.
Zanone non è un guerrafondaio, né il Governo con lui unanime. Nella storia recente, il tipo di presenza
«all’italiana» si identifica in Beirut dove, nel caos del caos, i nostri parà presero a modello più Teresa
di Calcutta che Rambo. Insomma, temere il coinvolgimento del Golfo appare più che legittimo;
sospettare che di colpo l’Italia abbia perso la testa, significa speculare sulla politica anche quando
sarebbe utile stare rigorosamente ai fatti.
E i fatti dicono che non possiamo dare in appalto la sicurezza delle nostre navi, impegnate in acque
internazionali a trasportare soprattutto energia. C’è un limite a tutto, anche ai calcoli. Se poi l’Onu,
prima che la marina prenda il largo, avrà dato segni di vita, tanto di guadagnato.
Per il petrolio e per la nostra faccia.

settembre 1987