1987 ottobre 9 Un’incuria mortale

1987 ottobre 09 – Un’incuria mortale

Politici, amministratori e Anas sul banco degli imputati

Non capita tutti i giorni, ma è un buon segno. A Venezia, il giudice istruttore Felice Casson ha messo
sotto inchiesta il capo dell’ufficio tecnico della Provincia per concorso in omicidio colposo, mentre sta
vagliando eventuali responsabilità del Comune di Dolo: la perizia avrebbe dimostrato che un mortale
incidente fu provocato da una striscia di strada del tutto sconnessa. Un ciclomotore vi piombò dentro e
sbandò, facendosi travolgere al centro della carreggiata. La meccanica fa supporre che, con la strada in
buone condizioni, non ci sarebbe stato morto.

La giurisprudenza tende a far credere che le strade siano figlie di nessuno: Stato, Provincia, Comune,
Anas sono in pratica non perseguibili penalmente, perché non si riesce quasi mai a risalire al
responsabile in carne e ossa. Quanto alla responsabilità civile, l’amministrazione pubblica risponde
delle strade nell’ipotesi di accertata «insidia». Deve cioè trattarsi di un «trabocchetto», come sarebbe
nel caso di una botola lasciata aperta dopo la riparazione a una conduttura di qualche tipo.

Ma se c’è un burrone senza parapetto; se in zona-nebbia non c’è guard-rail a impedire di finire in acqua;
se un ciclista provoca un disastro malcapitando dentro una buca dell’asfalto profonda una spanna, si dà
per scontato che si tratti di situazioni ben visibili. Chi circola stia un po’ più attento e non disturbi la
manutenzione …

Le strade stanno diventando una vergogna, a dispetto del Paese sviluppato, della priorità dei trasporti
per l’economia, della spremitura fiscale di tutto ciò che riguarda la motorizzazione. A dispetto
soprattutto della vita umana.

Tutti sono legittimamente pronti a denunciare l’indisciplina, l’imperizia e la velocità per spiegare la
carneficina e il collasso delle strade, anche perché è la denuncia più comoda, generalizzata e plateale.
Nessuno che si preoccupi altrettanto di andare a vedere perché politici e amministratori lasciano ad
esempio che Padova-Venezia sia il Vietnam d’Italia; nessuno che si renda davvero conto di quanta
influenza abbiano oggi, nella dinamica degli incidenti e nella qualità del traffico, le condizioni delle
strade.

Il Veneto ne sa qualcosa. Da anni resta all’avanguardia del massacro, al quale dà un determinante
contributo il fondo stradale: chilometri e chilometri senza segnaletica orizzontale nemmeno in periodo
di nebbia; segnaletica verticale lasciata un po’ ovunque degradare; scarsa illuminazione urbana; asfalto
tanto povero di bitume da ridursi a un percorso di guerra alla prima pioggia. Incuria diffusa, una cultura
da traffico agricolo applicata al modello dell’industrializzazione di massa.

Ieri in appello, la sentenza per la sciagura di tre anni fa a Maserada – sette morti in un pullman
squarciato da un camion – ha riscontrato ancora una volta che i due mezzi rappresentavano un
ingombro di cinque metri su una strada larga 5 metri e 30 centimetri, tanto che gli specchietti
retrovisori si sarebbero urtati anche procedendo a passo d’uomo. Giusto condannare l’eccesso di
velocità, ma sul banco degli imputati sarebbe dovuta apparire anche la Provincia di Treviso per
rispondere di concorso. Senza contare che tutto è rimasto esattamente come allora, in attesa di altri
lutti.

No, no. Ha ragione il giudice Casson: bisogna portare in giudizio anche i padroni delle strade, cioè le
amministrazioni pubbliche e l’Anas. Cambiare giurisprudenza per cambiare costume: nel 1987 l’unica
prevenzione stradale non può più essere il «Papà, va piano!» sul cruscotto.

ottobre 1987