1987 ottobre 25 Dal computer al bluff

1987 ottobre 25 – Dal computer al bluff
I giapponesi hanno lamentato la selvaggia interdipendenza dei mercati finanziari: una Borsa tira l’altra,
ai quattro angoli del mondo, senza che nessuno possa chiamarsi fuori nemmeno per un’ora. Il crollo di
Wall Street ha dimostrato che il «villaggio»del mondo non è mai stato così «totale» e che il destino
dell’ultimo risparmiatore di Portobuffolè può dipendere da quella piega prende il «business» planetario.
«Il tutto è falso», direbbe filosoficamente Adorno. Il tutto dà smarrimento, perdita di contatto con la
realtà. L’impotenza di fronte alla macrofinanza provoca panico o rassegnazione, un senso di estraneità,
come se l’artificiale prevalesse sul vero, il gioco sulla produzione di beni, la speculazione
sull’economia.
Non a caso uno dei killer della Borsa del mondo, quella di New York, è stato il computer. Capace di
scambiare centinaia di milioni di azioni, già programmato per gli acquisti e le vendite, il computer
reagisce quasi automaticamente agli alti e bassi dei titoli pilotando indici & denaro secondo un riflesso
elettronico, che accelera o rallenta la razionalità del mercato. Inventata per servire l’uomo, la macchina
contribuisce a condizionarlo, forse ad asservirlo.
«La società industriale è il cambiamento», ha scritto Furio Colombo in un suo libro americano. Ma,
nonostante la cultura dello sviluppo, le tante Wall Street del mondo industrializzato hanno perso la
testa, con la complicità di macchine per così dire emotive nella ricerca del profitto. Mai come in questa
settimana la ricchezza ne è uscita disumanizzata, Ufo che appare e scompare, una convenzione più che
un dato di fatto.
Sullo sfondo, la contrapposizione sempre più plateale tra partecipazione e potere, tra decisione e
democrazia, dentro la quale pochissimi hanno la certezza di contare moltissimo. Il resto è numero a
somma zero. Tanto che, studiando in un saggio pubblicato in questi giorni le «nostre complicatissime e
fragilissime società», il grande politologo Giovanni Sartori – cattedratico alla Columbia University – si
pone il problema non di «chi» abbia il potere, ma di «dove» si trovi rispetto a come si forma. Oramai
una questione di «tecnica decisionale».
Una buona mano alla forbice che si allarga tra chi decide e chi partecipa la offre lo stato
dell’informazione di massa. «Solo un dieci, venti per cento della popolazione adulta – ricava lo stesso
Sartori dai comportamenti elettorali e dai sondaggi di opinione – merita la qualifica di informata, o
sufficientemente informata, e cioè supera l’esame di un seguire gli eventi che è anche, in qualche
modesta misura, capirli».
Quando nel 1961 fu eretto il muro di Berlino fosse una città isolata, del tutto circondata dal territorio
della Germania Est. Un quarto di secolo dopo, un altro esempio di non-conoscenza, che qui si traduce
in apatia, diffidenza, disinteresse, distacco, viene dai nostri referendum. Tra due settimane l’Italia non
voterà o voterà per manipolazione: questa volta non del computer, ma della politica.
Non si tratta di scarsa informazione: anzi ne abbiamo fin troppa, però con il trucco. L’ammucchiata dei
«sì» confonde opinioni del tutto divergenti mentre l’eventuale abrogazione di alcune norme relative
alla giustizia e all’energia implica invece l’urgenza di nuove leggi su temi straordinariamente
importanti.

Senza contare che il referendum concepito dalla Costituzione quale correttivo di democrazia diretta al
potere dei partiti, proprio dai partiti di massa è stato svuotato di significato. Quando non sono in grado
di dominare la scena, gli apparati giocano a confonderla.
Il risultato è che più se ne parla meno ne sappiamo, quindi meno capiamo. Lo stesso non voto rischia di
assumere per molti il significato di legittima difesa contro un bluff che si è andato consolidando con
l’incapacità di scegliere e di legiferare in tempo.
Dalla Borsa ai referendum, dal macro al micro, lo scenario denuncia una ineluttabile sfida di
democrazia: si può ancora partecipare?

ottobre 1987