1987 novembre 22 Non si può scegliere il destino

1987 novembre 22 – Non si può scegliere il destino
Le cifre dicono che, rispetto al prodotto nazionale, il deficit pubblico degli Usa non super l’1,8%
mentre quello dell’Italia rappresenta il record del mondo industrializzato: oltre il 12%. Sia pure dopo
un duro lavoro al corpo, governo e parlamento Usa – cioè Reagan e il Congresso – si sono accordati su
una austerity che, fra nuove tasse e tagli di spesa, ridurrà il deficit di 76 miliardi di dollari, 94 mila
miliardi di lire. Insomma, si decide.
In Italia i leader della coalizione, Craxi e De Mita, si parlano al telefono; tre partiti su cinque lamentano
scarsa collegialità più piccolo dei partiti esce e rientra nella finanziaria per modeste differenze
contabili. Sicché il Governo si trova perennemente in ostaggio di se stesso, riuscendo a farsi battere
perfino su un decreto che lascia al verde la flotta nel Golfo!
I partiti del 2% soffrono di perdita d’identità; i sindacati si riaffidano allo sciopero generale anche per
recuperare un ruolo polverizzato dai Cobas d’ogni settore. L’economia paga la politica, ma il pericolo
più grosso non viene neanche dalle più «selvagge» pressioni di base. Il difetto sta brutalmente nel
manico: poca forza per scegliere, poca coesione per legiferare. Dai referendum alla crisi del Goria I, è
tutta una cronaca di ciò che si poteva fare e che non fu.
Sette mesi fa Andreotti aveva già proposto la moratoria nucleare; oggi la stessa prende corpo tra mille
incertezze, nel più contradditorio dei modi. Quello messo a punto da Rognoni era già un compromesso
accettabile sulla giustizia; oggi il termine di 120 giorni sta diventando un incubo per il ministro Vassalli
mentre esplode il disagio dei magistrati. I veri promotori dei referendum sono stati i partiti di governo,
con la loro litigiosa inerzia.
Proprio perché ha fatto progressi eccezionali e si è trasformata con incredibile velocità, l’Italia sente
più di altri paesi il bisogno di governabilità, una classe politica tagliata per gestire le riforme non il
mero esistente. Una società fermentativa come la nostra non può più aspettare troppe cose in un colpo
solo.
L’economia, l’energia, la giustizia, la scuola, la salute, non sono problemi del Paese, sono il Paese, il
suo modo di camminare. La complessità del mondo d’oggi richiede governanti migliori di ieri, ma
nessuno può scegliere il proprio destino. Si può solo affrontarlo.

novembre 1987