1987 marzo 15 La sfida Triveneta

1987 marzo 15 – La sfida Triveneta
L’Italia del Nord-Est non è mai stata così vicina ad avere un ruolo di polmone dello sviluppo e dei
servizi. Per la forza dei numeri, potente segmento dell’economia italiana, una costellazione di oltre 400
mila imprese nelle Venezie e nel Friuli, ma oggi in particolare per l’accelerazione dei progetti e per la
spinta all’integrazione.
Il Nord-Est non è più un’astrazione, vago sogno mitteleuropeo che si apre sull’Alpe-Adria. Questa
robusta spalla d’Italia sta mostrando i muscoli e soprattutto le idee. A tal punto che il rischio non viene
più dall’immobilismo; semmai dall’impazienza di anticipare il futuro anche a costo di qualche eccesso.
Il Triveneto ieri ha pensato a trasformarsi, oggi a qualificarsi. Prima che se ne accorgessero le
istituzioni e che vi si adeguassero le strutture, ha provveduto l’economia diffusa a fare del Triveneto un
solo, dinamico laboratorio scaraventando in archivio la politica dell’uscio di casa, senza orizzonte.
La parte emergente, più giovane e attenta, della classe politica del Nord-Est avverte oggi, quasi con
eccitazione, il bisogno di coordinare lo sviluppo, di tenersi ai piani, di lavorare almeno su ipotesi di tre
anni, di scoprire non più i problemi ma le aree-problema.
Un fenomeno che si coglie da tanti segni, in apparenza dissimili, in realtà collegati da un’unica
sottintesa vocazione.
Se marcia una istanza dei Comuni per una più responsabile autonomia, qui sono in prima linea; se le
Regioni discutono l’anacronismo anche costituzionale di certe plateali disuguaglianze tra statuto
speciale e ordinario, qui se ne discute senza tabù, con un’apertura alle altrui ragioni che non viene
schiacciata dall’interesse delle tante «piccole patrie» possibili.
Se, come ha fatto «Il Gazzettino dell’Economia», si lancia l’idea di aprire Borse regionali ristrette, in
pratica la possibilità per le aziende trivenete medio-piccole di accedere alla svelta al risparmio, la
risposta sia politica che imprenditoriale è ampiamente positiva. E, a costo di spiazzare le Province, i
Sindaci s’incontrano per accelerare la creazione – non utopica bensì pragmatica – della Città futura
integrata tra Padova, Venezia, Mestre, Treviso, Vicenza.
Il Comune che supera la cinta comunale; «un’area paragonabile alle grandi aree metropolitane
europee» l’ha chiamato il sindaco di Padova Gottardo, che pur sa benissimo come il Nord-Est abbia
punti cardinali, anche di straordinario sottosuolo tecnologico nell’agricoltura nei servizi nell’industria
nella scienza, da Verona-Trento a Pordenone-Udine-Trieste.
Sullo sfondo, una realtà atipica e complessa come Venezia, per la quale si fa spesso molta confusione
scambiandola come la Città del Carnevale e dell’Effimero, dei parolieri e dei menù numerati. Venezia
non sta sonnecchiando dentro un sacco a pelo. Nonostante gli scandali, gli impacci amministrativi, una
lotta politica ricca di personalismi quanto di anonime denunce, sta ponendo mano a imprese di respiro
veneto, anzi italiano.
Come il via alla ristrutturazione manageriale di un Porto fuori mercato, che moriva di asfissia
finanziaria e di eccesso di manodopera, e che da oggi punta a un trend di sei milioni di tonnellate.
Come il via, dato giovedì scorso a Roma dal comitato interministeriale, al consorzio d’imprese
pubbliche e private «Venezia Nuova» per il recupero e la salvaguardia della città e della laguna: dieci
anni di lavoro, dai seimila ai diecimila miliardi d’investimento, ma anche un modo nuovo di aggregare

risorse, di fare insieme i conti con la tecnologia e la cultura, di innescare senza strappi un’opera
speciale su un habitat specialissimo, un metodo mai tanto avanzato di dosare gli interventi, metro su
metro, licenza su licenza, equilibrio su equilibrio, per vincere anche un inquinamento che è stato negli
uomini prima che nei canali.
La Venezia del turismo è una delle Venezie possibili, accanto a quella dei traffici, della cultura,
dell’ambiente. Soltanto salvaguardata e ricuperata, Venezia potrà aggregarsi attraverso Mestre alla
grande area integrata. Elemento vivo, non decorativo del Nord-Est.
Il consorzio Venezia Nuova si dà l’arrivo al 1995; l’Esposizione Universale al 1997. Ma la città
continua a vivere aberranti contraddizioni tra progetto e burocrazia, tra inerzia e mobilitazione. Di
fronte all’agilità futurista e arcimboldesca della cultura privata di Palazzo Grassi o a contatto con il
rigore calvinista della Fondazione Cini, la Biennale dei dieci miliardi di finanziamento pubblico è
paralizzata da uno statuto parastatale, dalla lottizzazione delle poltrone, dalla neghittosità dei partiti che
favoriscono l’esproprio di una istituzione nella quale Venezia e il Veneto contano sempre meno, anzi
nulla.
Con il bel risultato di sabotare una Mostra del Cinema che, tuttora acefala, non potrà che essere
quest’anno di serie B nei confronti di Cannes e Locarno. Una Mostra negletta perché Venezia sembra a
volte più attenta a quantizzare la cultura piuttosto che a distinguerla.
Tutto è in movimento e l’Italia del Nord-Est pone un ordine del giorno tra i più creativi. A patto che la
grande voglia di integrarsi nella crescita si trasformi in seria gestione. Il vero modello veneto è la
concretezza.

marzo 1987