1987 marzo 01 La forza e la paura

1987 marzo 01 – La forza e la paura
Nessuno vuole un governetto
I partiti al lavoro per salvare la legislatura
Dato il clima di reciproca fiducia, a luglio quelli del pentapartito decisero di mettere nero su bianco: «si
darà vita, entro il marzo 1987, con la conferma degli impegni programmatici necessari, al governo di
fine legislatura, nella coscienza dell’alternanza fra partiti laici e socialisti e democrazia cristiana nella
guida dell’esecutivo». Era la Magna Carta, si fa per dire, della staffetta.
De Mita la definì un accordo: Craxi la considerava un abuso. Il primo la riteneva automatica; il secondo
tutta da patteggiare. La Dc si appella alla lettera, il Psi allo spirito d’intesa, e se l’intesa si fonda sul
sospetto a tempo pieno né lettera né spirito aiutano a chiarire i rapporti. Già è molto difficile governare
in cinque nel nome della stabilità; quando poi le parole vengono usate ora come pietre ora come
battute, non c’è che la crisi.
La quale oggi ha almeno il pregio di entrare in Parlamento, così obbligando il potere dei partiti a darne
conto in sede istituzionale e con la massima pubblicità possibile. Sono almeno due le cose che gli
italiani hanno stentato a capire:

1. perché un governo di coalizione, che insieme ha ottenuto alcuni importanti risultati e che
tuttavia ha ancora moltissimo da fare, debba rimettere tutto in gioco – presidenza ministri
equilibri – a sedici mesi dalla scadenza della legislatura;

2. perché, presa questa strada, il lungo corpo a corpo abbia addirittura personalizzato l’alternanza
tra Craxi e Andreotti, tanto da espropriare il Capo dello Stato di una delle poche, vere
possibilità d’iniziativa politica riconosciutegli dalla Costituzione: «Il Presidente della
Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri».

De Mita non è riuscito a spiegare fino in fondo alla pubblica opinione perché la Dc ci tenga tanto
all’alternanza di fine legislatura; Craxi fa troppa fatica a ricordare che il rapporto socialisti-democratici
è di uno a tre, e in democrazia i numeri contano. Sicché la staffetta non ha mai avuto la dignità di
strategia; continua dallo scorso luglio a rappresentare una mera prova di forza, con i tre partiti laici
tentati dalla mediazione o dall’aggregazione per sfuggire a un ruolo più subalterno che nel passato.
Ma è una prova di forza a muscoli scarichi perché accompagnata dalla paura dei referendum sul
nucleare e sulla giustizia oltre che della commissione d’inchiesta sui fondi neri dell’Iri, uno scandalo da
300 miliardi, lo scandalo degli scandali nell’impiego del pubblico denaro. Mai la conclusione di una
crisi è apparsa tanto incerta, mai come oggi andare alle elezioni tra quattro o sedici mesi significa
infatti dare un colpo di spugna su tutta una serie di scomodi appuntamenti o avere il coraggio di
affrontarli a costo di rischiare voti «emotivi» e liste di corrotti. E del resto, quando manca l’accordo
come sul nucleare, il referendum forse l’unico modo per decidere?
La crisi si aprirà dopodomani in Parlamento, come certamente desidera Cossiga. Il ruolo del capo di
Stato sarà rilevante e non è detto che gli si offra soltanto l’alternativa tra indire le elezioni anticipate o
fare il notaio di una irrituale staffetta. Persino Craxi! Ma il punto non è questo: ciò che conta è il salto
di qualità nell’alleanza, unica premessa necessaria a un nuovo governo, anzi a un governo nuovo.
marzo 1987