1986 ottobre 23 Quella data è senza tempo
1986 ottobre 23   – Quella data è senza tempo
Di quei giorni conservo un ricordo molto preciso. La radio, la fame di notizie. Appena usciti dal liceo,
alla vigilia dell’iscrizione all’università, volevamo saperne di più: con un amico prendevamo la corriera
andando ad acquistare in città anche giornali francesi.
Non so se disprezzavamo più Kruscev, il simpatico «Nikita» che – dopo aver abbattuto in primavera il
«culto della personalità» e denunciato i crimini di Stalin – aveva inviato i carri armati a Budapest nella
logica staliniana dell’Impero o il segretario di stato americano Foster Dulles che ai nostri poetici occhi
aveva abbandonato la rivoluzione d’Ungheria al proprio destino senza muovere un dito. Ma sentivamo
d’istinto che si trattava di una rivolta popolare e che l’assassinio di Nagy, «certamente un comunista»
come lo ha definito Natta domenica 12 ottobre scorso, era un atto «terribile, ingiusto e disumano» come
lo ha chiamato lo stesso Natta, lo stesso giorno nel 1986.
La  cosa  che  più  sconcerta  non  è  il  ritardo  di  trent’anni  nell’usare  da  parte  di  un  leader  del  Pci  gli
aggettivi finalmente appropriati. È piuttosto che, nello spiegare il «sì» di quei giorni a Mosca, il Pci
ricorra ancora oggi al logoro termine «errore».
No, non fu un errore. Fu un atto di coerenza con l’allineamento a scatola chiusa al Cremlino tanto che
lo stesso Togliatti giudicò «inevitabile» l’intervento dei cingolati a Budapest. Fu l’atto di coerenza di un
Partito che si poneva al disopra della stessa coscienza personale e che definì «malviventi» (aggettivo di
Togliatti) o «traditori» (aggettivo di Amendola) le decine di migliaia di comunisti che a cominciare da
Antonio Giolitti, non rinnovarono la tessera dopo l’aggressione all’Ungheria.
Nel confutargli la prudenza ai confini della reticenza con la quale i comunisti italiani vivono il rapporto
con  l’Urss  e  con  i  «Paesi  fratelli»  un  esponente  credibile  quale  Pellicani  mi  rispose  un  giorno:  «La
Storia cammina lenta». Certamente, ma bisogna aiutarla a camminare, soprattutto in politica, arte del
possibile in questa nostra democrazia imperfetta e perfettibile che tuttavia ha saputo, anno dietro anno,
come dal 1956 ad oggi, turbare, scalfire lo zoccolo duro, convertire al pluralismo, seppellire il sogno
dei modelli popolari della grande illusione del «socialismo reale».
Il 23 ottobre del 1956 gli operai comunisti ungheresi in armi chiamavano «fascisti i sovietici». Ancora
oggi, nella stessa intervista sull’Unità del 12 ottobre scorso, Natta sente il bisogno di sottolineare un
aspetto  negato  anche  dalla  sinistra  e  cioè  che  accanto  ai  «sinceri  rivoluzionari»  c’erano  a  Budapest
«autentici controrivoluzionari». Si coglie un tale senso di fatica nel ripudiare gli errori e le connivenze
del passato da temere che persino trent’anni non siano sufficienti a un totale atto di coraggio del Pci
verso  la  storia  e  che  lo  «strappo»  pieno  dal  Sistema  possa  giungere  soltanto  con  la  generazione  dei
quarantenni.
«Noi – scrisse il teorico del “socialismo dal volto umano” Paul Garaudy – abbiamo il dovere di salvare
le speranze. E non vi riusciremo con il silenzio, ma con la chiarezza». Budapest non è un anniversario,
è una voce senza data.  
ottobre 1986