1986 ottobre 24 Legittimo sospetto d’inganno

1986 ottobre 24 – Legittimo sospetto d’ inganno

In una conferenza stampa all’Onu il segretario di Stato americano Shultz ha sostenuto che il governo ha
il diritto di promuovere campagne di «disinformazione» per confondere, attraverso la stampa, i nemici
degli Usa, soprattutto se terroristi o assassini. Il presidente Reagan ha precisato di non aver mai
approvato campagne di questo tipo per innervosire Gheddafi con la falsa notizia di un probabile attacco
da parte degli Usa. Il senato americano, più attento all’affermazione di Shultz che all’assicurazione di
Reagan, sembra intenzionato a chiedere una legge che proibisca la disinformazione.
In stato di guerra nessuno farebbe caso a un problema come questo: «taci, il nemico ti ascolta» è un
ordine perentorio impartito all’uomo della strada quanto al giornalista. Nemmeno i regimi totalitari si
pongono la questione: nella Germania nazista i parametri di verità erano affidati al «fuhrerprinzip», il
Capo creava il Diritto. E l’informazione in Urss deve leninisticamente piegarsi all’unico valore della
«costruzione della società socialista».
Il dilemma della disinformazione di Stato si pone quando a sostenerlo è il governo della più grande
democrazia al mondo nei confronti della stampa più libera e dunque più potente del mondo, tanto da
essere riuscita a far sloggiare dalla Casa Bianca un presidente, cioè l’incarnazione del più forte potere
esecutivo dell’Occidente. Perché «disinformare», qui non consiste nel tacere; no, si tratta di mentire
sapendo di mentire e di ingannare deliberatamente non soltanto i «nemici» del Paese ma anche
l’opinione pubblica, depistata da una stampa o ignara o usata, bugiarda per conto terzi. La
disinformazione di Stato colpisce gli avversari, i giornalisti, la gente.
Al recente meeting promosso da «Comunione e Liberazione» il cardinale Poletti, presidente della
conferenza episcopale italiana, aveva in modo molto spiccio affermato che il potere è menzogna e che i
mezzi d’informazione sono strumenti di potere, trascurando perlomeno, una riflessione sul fatto che
anche la Chiesa è potere. In un suo ottimo libro, Giampaolo Pansa confessa pessimisticamente che il
giornalismo italiano gli appare sempre di più un «mestiere che non può o non vuole distinguere il falso
dal vero». Mentre rimane ineccepibile la descrizione che Alberto Ronchey fece del giornalista-spray,
«fiancheggiatore di tutti, friabile e omogeneizzato».
L’istanza della credibilità sta nella coscienza di tutti, e crea disagio, bene questo consentito soltanto in
democrazia. Ma la tesi di Sultz sulla legittimità della disinformazione dimostra con brutalità quanto
delicato sia l’equilibrio tra valori di sicurezza e di libertà e a quali rischi sia sottoposta la testimonianza
dei giornalisti nel verificare la notizia alla fonte. «Ci sono iniziative – ha spiegato nei giorni scorsi
Goria a proposito dell’improvvisa tassa sui Bot – che devono essere negate sino a un minuto dopo
averle adottate. Dovrebbe essere cacciato con ignominia qualsiasi governante che non lo facesse».
Più che mai, tra potere e opinione pubblica la precauzione di una stampa libera sta nel sospettare la
velina. Per legittima difesa.
ottobre 1986