1986 luglio 26 La grande fame di cifre

1986 luglio 26 – La grande fame di cifre

Censis, Istat, Prometeia, Cer, Corte dei Conti, Bankitalia, ricerche, rapporti, analisi, sondaggi
d’opinione. C’è una grande fame di cifre, come se la realtà avesse un solo modo per manifestarsi:
d’essere censita.
Nella società dell’informazione, il bombardamento dei messaggi fa crescere la difficoltà della sintesi,
quindi di capire. L’uomo della strada avverte come non mai il bisogno di identificarsi, di riferirsi a
qualcosa o a qualcuno, di sapere con chi sta.
Quando furono noti i dati relativi al sì e al no dell’ora di religione nelle scuole, ogni famiglia si sentì
finalmente rassicurata. Qualunque fosse stata la nostra scelta, sì a stragrande maggioranza o no
ultraminoritario, quella cifra in percentuale aveva in ogni caso il pregio di contarci. Se il 97,4% della
popolazione segue costantemente la televisione, il peggio che possa capitare è di sentirsi soli con se
stessi. La statistica dei grandi numeri finisce con il trasmettere non più la frustrazione da uomo medio
quanto la certezza che altri la pensano e agiscono esattamente come noi.
Ricordava Servan-Schreiber che una volta nessuno protestava per l’arresto del Marchese de Sade per la
semplice ragione che tutti ignoravano sia che si trattasse di un intellettuale. Oggi, in edicola o in diretta,
tutti sappiamo tutto ma il nostro approccio con la notizia è solitario. Le notizie prima si guardano poi si
leggono, mentre lo scambio orale – la voce – s’indebolisce ogni giorno di più. La fame di cifre nasconde
la voglia di capire alla svelta.
Un timore appare legittimo, come profetizzò Aldous Huxley nel suo “Mondo Nuovo” e pagina tagliata
sotto cioè che attraverso la tecnologia dell’informazione la gente aspiri a liberarsi dalla fatica di
pensare. O che, addirittura, il fatto non esista se non a patto di essere diffuso. Insomma, il mezzo che
crea la notizia, come già si ricorda negli Stati Uniti tra gli anni sessanta e settanta quando gli studenti
attendevano l’arrivo delle telecamere prima di dare il via ai disordini.
Nel tramonto della dialettica e della riflessione personali, le cifre di massa assumono un forte potere di
persuasione, che a volte va persino aldilà delle intenzioni di chi le elabora. Proprio perché, nel
riconoscersi in una percentuale, ognuno di noi non esercita una curiosità ma soddisfa l’urgenza di darsi
un senso.
Un fenomeno come questo non dovrebbe lasciare indifferenti i politici. Quando la gente ha necessità di
razionalizzare nelle cifre una società che altrimenti le risulterebbe frantumata, può anche voler dire che
non si fida più. O che si fida sempre meno della propaganda e degli inganni delle parole. Va più al sodo
sentendosi meglio protetta da chi almeno legge e interpreta l’Italia con il conforto dei soli numeri.
Questa moderna fame di Censis non è soltanto un rischio, testimonia anche la crescente domanda di
concretezza.
luglio 1986