1986 giugno 1 Mondiali Messico 86. Il Mondiale è questione di stile e anima

1986 giugno 1 – Mondiali Messico [Il Mondiale è questione di stile e anima]

Il Mundial non è un mondiale, tutta un’altra cosa. Questione di lingua, cioè di etnos, stile, anima.

Bach non può nascere a Rio, né Wagner ad Acapulco. Un flamenco berlinese non s’è ancora

ascoltato. Il carnevale dei brasiliani ignora l’ambigua tristezza della maschera veneziana.

Madre del Mundial risulta l’Enfasi. Chi non è esagera è perduto, stella spenta, invisibile buco
nero. Per legge, nulla del “calcio spettacolo” è un urlo. Lingua giusta è lo spagnolo, come quattro
anni fa, come nel 1970 e oggi in Messico. Il prevalere dello sdrucciolo sulla consonante.

Quando un discepolo gli chiese che cosa fosse il Tempo, Sant’Agostino rispose: “Lo sapevo
finché non me l’hai chiesto”. Chi tocca la pelota o inventa futebol ha idee molto meno tormentate: il
calcio è una “alegria”. Centro e Sud America la pensano in spagnolo o portoghese, allo stesso
modo. A confronto dei loro tele-radiocronisti, i nostri Pizzul o Ameni sono le prefiche di Ifigenia, in
Aulide. Gli altri, più che raccontare la partita, la cantano, il loro microfono è un olè.

Sedici anni fa, gli inglesi giunsero a Città del Messico dopo aver razziato il free-shop
all’aeroporto boliviano. I giornali accolsero il capitano Bobby Moore con il titolo di una spanna: è
arrivato “el ladron”.

Quattro anni fa, l’eliminazione della spagna ricevette in prima pagina un “Sin verguenza” e

“Vergonzoso y vergonzante”. Quando è Mundial, suona bene anche perdere.