1986 Giugno 29 Ieri e Oggi Oggi e Ieri

leri e Oggi Oggi e Ieri

1986 Giugno 29

Ha la bocca da squalo, Carlos Bilardo, la faccia da clown naturale. Beckenbauer é il bello, lo
chiamavano Kaiser Franz. Sono le due panchine della finale 1986.
Il primo ispira simpatia, chiacchiera sereno di football forse perché, in un rione popolare di Buenos
Aires, fa il chirurgo con la specializzazione del tumore al retto. Conoscendo la scala dei valori,
assorbe il Mundial senza prendere la sbornia.
Il secondo si muoveva in campo come una modella di Valentino; era il frutto esotico del calcio
tedesco. Ha fatto incetta di marchi e dollari, guardando gli altri da aristocratico
che un po’ si concede.
Bilardo e Beckenbauer non hanno vite parallele né sono personaggi in cerca d’autore. All’ultimo
mezzogiorno del Mundial cercano tuttavia la stessa cosa, la rivincita sulla stampa argentina & tedesca.
Garbata la rivincita di Bilardo cattiva quella di Beckenbauer.
Nessuno dei due ha lavorato tranquillo. Bilardo aveva la colpa di succedere a Luis Menotti, campeon
nel 1978, chioma fluente, fascino del successo, il look di sguardi tenebrosi, di sigarette aspirate con
voluttà. Uno che quando parlava di calcio sembrava scrivere la cronaca di una vittoria annunciata
Beckenbauer era troppo. Troppo tutto, ricco, disinvolto, refrattario ai suggeritori. Molti commentatori
lo sognavano “kaputt”; lui sparlava di “giornalismo maiale”.
E strano. Come accadde con Bearzot o Ramsey o Herrera e tanti altri, pare che in un calcio sempre
più mercenario e da esibizione uno dei segreti per creare un gruppo e far esplodere il romantico
«spirito di corpo» sia il gioco degli specchi, un avversario indiretto riflesso nell’avversario diretto. Il
gol trasversale.
Anche questa Coppa sarà vinta “contro” la stampa. O forse, questo è l’unico modo che la stampa ha
per vincere.
Paradossi, enigmi, specchi, perché mai Jorge Luis Borges non ha aspettato di raccontare lui questa
finale?

Girogio Lago