1986 giugno 10 Mondiali Messico 86. Ridolini permettendo

1986 giugno 10 – Ridolini permettendo

Quella era del Nord, questa del Sud. La prima era leninista, rimase in ritiro un anno; la seconda è
americanizzata fin dai tempi del generale Mac Arthur, Ma, calcisticamente parlando, non si vede
differenza sopra e sotto il 38° parallelo. Più che giocare, la Corea corre. Quando si raggrumano e
ripartono zampettando, sono formichine.
Giusto vent’anni fa, era andato a spiarli il buon Valcareggi, la cui faccia rugosa di triestino pareva
intarsiata dalla bora: “Sono dei Ridolini!”, raccontò a Mondino Fabbri, Topo Gigio con occhialetti
che era il Bearzot di allora.
E fu subito Corea. Uno dei Ridolini, il dentista Pak Doo Ik, sventagliò l’uno a zero dell’eliminazione.
Piantagioni di pomodori attesero l’Italia al ritorno a casa.
Lo stadio era quello di Middlesbrought, cittadina chimica a nord dell’Inghilterra. Al mio primo
mondiale, ero capitato per caso accanto a Gianni Brera, teorico degli “abatini”, grandi mezzi giocatori
quali Rivera, Mazzola, Bulgarelli, Corso. Il suo scranno assomigliava al balcone di un droghiere,
cronometri, pipe, tabacchi, biro, block-notes e la mignon di un whisky di marca. Alla fine mi guardò
di sottociglio e con inflessione pavese, mi disse: “giovane amico, adesso tocca a noi”. Un nostro
emigrato ci passò di fronte e alludendo, depose in silenzio il tricolore nel bidone dei rifiuti.
Cominciai il pezzo da quel gesto e scrissi dodici cartelle: i telescriventi inglesi mi regalarono il giorno
dopo l’interminabile strisciolina perforata e mi fecero complimenti very very perché si trattava del
pezzo più lungo battuto alla World Cup.
Il giornalismo è pessimista, si scrive più facilmente di un funerale che di un matrimonio. Ma non sarà
il caso di stasera, Ridolini permettendo