1983 Marzo 28 Possiamo gia fare gli auguri a Liedholm

1983 Marzo 28 – Possiamo già fare gli auguri a Liedholm

Pareggio tricolore della Roma a Firenze! Da una partita senza sangue è uscita la svolta dello
scudetto, con il conforto di 4 gol che hanno avuto almeno la funzione di tenere in piedi la
sceneggiatura.

Per la Roma era una partita di nervi, da giocare senza lo squalificato Di Bartolomei, pendolare tra il
ruolo di battitore libero e di mediano. Liedholm lo ha sostituito con due giocatori: Righetti dietro,
Falcao a pensare davanti.

Per la Fiorentina era una partita di qualche orgoglio, niente più. Già la squadra è smagliata quando
gioca al completo; figurarsi con tre titolari in meno ( Passarella, Bertoni, Pecci) e, soprattutto, con
riserve di seconda scelta ( Manzo, Bellini). La squadra si è di colpo imbrocchita; persi molti piedi
buoni, ha giocato con gente impersonale che di serie A non ha molto. Proclami della vigilia a parte,
le premesse non erano smaglianti e il campo le ha confermate. Una Fiorentina di portatori di palla,
che lampeggiava schemi soltanto quando affidava il pallone in custodia ad Antognoni, rassegnato a
una squadra che, per ritornare nel 1984 in zona-scudetto, dovrà spendere altri 10 miliardi dei
munifici Pontello.

Nemmeno la Roma teneva la scena con il piglio della squadra che si sta prendendo lo scudetto.
Pareva senza vigore, preoccupata, sfilacciata ora in ghirigori laterali ora in lanci lunghissimi il più
delle volte raggiungibili soltanto da un Pietro Mennea, non da un Pruzzo che è bravissimo nel
piazzarsi non nell’inseguire.

Fin dalle prime battute, una cosa appariva sicura: i due personaggi che mostravano più ritmo erano
l’arbitro di coscia lunga Agnolin e Sandro Ciotti alla radio! L’unica speranza era così la prodezza
personale, il gesto che cava fuori lievito dalla creta. E quanto accaduto nel giro di una decina di
minuti, prima con Massaro poi con Pruzzo. In pratica, l’1-1 del primo tempo.

Massaro ha un’andatura traccagna, due gambone forti e progressive, che lo portano a scavallare sui
corridoi laterali o a sfondare con una profondità a volte perfino cieca. Stavolta si è smarcato come
una folata di vento sulla sinistra, dove lo ha raggiunto un lancio di Antognoni, tagliato in mezzo alla
difesa della Roma con lo stile di un Rivera o di un Platini. Meglio, con lo stile di un Antognoni
ispirato.

Nonostante il bel servizio, appena sfiorato in retrocorsa da Righetti, mica era facile trasformare in
gol. Ma Massaro ha colto di controbalzo, a pieno collo sinistro, calciando violento, tagliato e
diagonale. Una vera legnata sul palo interno, in rete. “ Ammazza!”, ho sentito esclamare a quel
punto in tribuna da un preoccupatissimo e ammirato romanista.

Però, a guardar bene, c’era poco da temere da questa Fiorentina che, oltre a riserve di seconda
scelta, ha qualche titolare che andrebbe tenuto prudenzialmente in panchina. Vedi lo stopper Pin,
più legnoso del legno, lentone nei riflessi e nei movimenti corti.

E’ lui che ha reso più facile il pareggio della Roma anche se, a scanso di equivoci, tutto quanto ha
fatto Pruzzo sul lungo lancio di Conti porta il segno della grande abilità. Pruzzo ha messo giù un
pallone non facile da addomesticare e, anche sfruttando l’inconsistenza di Pin, ha aggirato lo
stopper, battendo a rete con precisione e con opportuno gelo mentale.

Tutto alla pari, come prima, senza problemi? Sembrava proprio così, con l’unica variante dell’uscita
di Massaro, prima spallato in bordo campo da Ancelotti, infine toccato da Righetti. L’atmosfera era

come sospesa, cauta, coerente con la partita, tossicodipendente nei confronti del transistor e del
tabellone luminoso che faceva scivolare via i risultati. La partita era come un corpo estraneo rispetto
allo scudetto: solo alla Juve in fondo contava per intero, e la Juve stava altrove.

La partita non è mai cambiata; gli schemi erano soporosi; mediocri quelli della Fiorentina, spenti
quelli della Roma. Se i primi due gol erano soprattutto state delle prodezze, i secondi due erano dei
non-gol, roba fortuita: uno starno rigore e un’autorete da spararsi.

Su un lancio di Nela, Chierico (subentrato al claudicante Pruzzo) è scattato in area tallonato da
Contratto. I due giocatori erano molto vicini, più attenti ad alzare gli occhi per seguire la parabola
del pallone che a ostacolarsi. Chierico è caduto, Agnolin era molto ben piazzato, ma personalmente
ho avuto l’impressione dell’inciampo, senza né una spinta voluta né uno sgambetto voluto. Senza
insomma premeditazione alcuna da parte di Contratto, trovatosi a braccia spalancate su Chierico. Se
non c’è volontà non c’è rigore: senza volontà nemmeno un pallone respinto di mano sulla linea di
porta è rigore.

Comunque, quisquglie del senno di poi. Anche perché la Roma si sostituiva alla Fiorentina
trasformando in autorete un pallonetto sollevato come una piuma nel cielo, indovinate da chi?, da
Antognoni. In mezzo alla tremebonda difesa della Roma, Ancelotti bucava la sua porta. E’ stato un
brivido sullo scudetto 1983. L’ultimo, un brivido di piacere.