1983 maggio 29 I campeones tentano l’ultimo revival

1983 maggio 29 – I campeones tentano l’ultimo revival

Qui la primavera ha il profumo di fiori bagnati e di pesci. La Svezia è grande come la Francia, ha
otto milioni di abitanti e quasi 100 mila laghi: è un Paese verde-liquido; più che da uomini è abitato
da alberi: “Ne abbiamo tanti – mi spiegano ecologicamente – perché abbiamo molte macchine”. La
natura tradotta in domanda e offerta anti-inquinamento, nella città dove si fabbricano le auto Volvo
(significa Giro) e, non molto distante, le Saab.

Il calcio svedese è per così dire di rito luterano. Anche se dal venerdì pomeriggio alla domenica il
week-end mostra perle strade sguardi più forniti di birra che di diottrie, la gente va allo stadio come
in chiesa, ha spiegato Lars Arnesson, l’allenatore della Nazionale, cranio pelato e bocca sincera. Più
che far cagnara, celebrano una funzione frivola. Se sono ispirati dalla partita, cantano senza urlare;
hanno troppo poco sole all’anno per impazzire: il loro è un tifo biondo, da scampagnata e salmi
patriottici.

Arnesson ce l’ha con i giocatori italiani perché li ritiene scorretti, sempre litigiosi in tackle, con il
vizietto, soprattutto difensivo, di strattonare, spintonare, dare di gomito. Gli ultimi spezzoni a nostro
carico sono la devastante testata di Gentile a Bastrup in quel di Atene (“involontaria”, giura il
terzino) e la proditoria gomitata di Meneghin a uno svedese l’altro ieri agli Europei di Basket in
Francia. Gli ex-vichinghi amano la vela, l’atletica leggera, il tennis, hanno un gran senso del fair-
play, dicono che il gioco sporco non è virile, soltanto sleale.

Da 17 anni, esattamente dal 1956, gli svedesi non segnano un gol all’Italia e vorrebbero approfittare
di Zoff, alle prese con un tramonto reso sgradevole dalla mania di applicare ad ogni suo gesto una
moviola a senso unico, secondo la quale le incertezze sono la regola, le prodezze l’eccezione. Non
fosse per Bearzot, che diffida dei “processi” (non ha mai voluto partecipare nemmeno a quello del
Tele-lunedì), il monumento Zoff sarebbe già da un pezzo destinato all’anti-stadio.

Le due punte della Svezia, Corneliusson-Samdberg, giocano in casa a Goteborg: amano il gioco
smazzolato via più che il triangolo con il difensore che ti tortura fianchi e stinchi. Al loro allenatore
è stato chiesto di fare un confronto tra il popolarissimo Corneliusson e Paolo Rossi: “Non c’è
confronto – ha tagliato corto – il mio ultimo ricordo è un Rossi fantastico al Mundial”.

È tutto diverso tra Italia e Svezia, in stile, mentalità, professionismo. Il più pagato giocatore svedese
prende 20 milioni all’anno: il premio-partita di stasera è di 500 mila lire, roba da C-1 nostrana. Il
centrocampista Prytz, uno che corre sempre, è stato acquistato dagli scozzesi del Glasgow per meno
di 300 milioni, ingaggio compreso. Oddio, lo prendesse un club italiano, figurerebbe senza dubbio
per i triplo ma questo è un altro discorso, roba di tangenti, presunti esperti e affini. In Romania ad
esempio si è sempre sentito che un Boloni vale 300 mila dollari, 420 milioni tutto compreso, ma poi
si legge che al Verona costerebbe un miliardo.

Meglio restare al football in senso letterale, piede e pallone. Svezia – Italia appartiene a mondi più
distanti di quanto non dicano i chilometri. Il calcio italiano sta esalando le ultime pedate di stagione,
vive oramai di espedienti nervosi e di corso inerziali: il calcio svedese è nel suo momento
fisicamente perfetto, come si conviene a tutto il Nord scandinavo appena uscito dal lungo letargo
invernale, un buio che ti entra dentro e che qui si placa nei comfort della via svedese alla sicurezza
sociale.

È il loro momento di “euforia”, osserva Bearzot riferendosi alla condizione fisica dei calciatori, ma
si tratta di qualcosa di più e di più profondo. È l’euforia esistenziale di chi sente arrivare la carezza
del sole; la primavera del calcio è la primavera della vita.

Contro questa Svezia torna da cima a fondo l’Italia mundial, che tenta l’ultimo revival a dispetto di
sconfitte e pareggi post-Madrid: a dispetto della Juve di Atene e di giocatori frustrati o delusi o
problematici o giunti al terminal dell’annata. Gli schemi li conoscono a memoria, sono quelli di
sempre: a Goteborg contano nervi e glucosio, muscoli e stimoli.

Enzo Bearzot allena una grande nostalgia.