1983 Maggio 24 Juve. I dieci motivi per cui vincerà

1983 Maggio 24 – Juve. I dieci motivi per cui vincerà

Uno degli aeroporti più trafficati d’Europa accoglie charter e voli speciali come grassi uccelli
rapaci. Sono i jet della Juve, che vuole a tutti i costi la sua prima Coppa dei Campioni. Campione è
stata venti volte in Italia, mai in Europa. In finale fallì dieci anni fa a Belgrado contro gli olandesi di
Cruyff; ci riprova domani ad Atene contro gli amburghesi.
Il suo destino è sempre nordico, i grandi porti del mare freddo dove cieli ventosi assistono il gioco
del peso atletico e della funzionalità di scherma. Juve-Amburgo è un classico dell’antagonismo tra
calcio latino e foot-ball dei panzer.
La Juve ha il complesso della Coppa e ne avverte la privazione con sofferenza, per quanto
elegantemente assorbita. E’un fastidioso controsenso che la squadra della famiglia Agnelli,
cosmopolita per istinto e cultura, non riesca a diventare qualcuno in Europa, almeno alla stregua
dell’Inter e del Milan Anni Sessanta. Una Fiat senza mercato estero è impensabile: e la Juve – a
guardar bene – appartiene anch’essa alla “vasta gamma”. Ha urgenza di questa coppa-simbolo; il
formidabile fatturato interno non le basta più.
Questa è la Juve giusta per ovviare all’omissione. Lo è per dieci ragionevoli circostanze:
1 per trequarti Mundial, è la squadra più esperta d’Europa;
2 Paolo Rossi, con sei gol in Coppa, è il miglior risolutore del continente;
3 anche se la disponibilità di Haller e Altafini non fu sufficiente a battere dieci anni fa l’Ajax,
Platini e Boniek danno oggi alla Juve reputazione internazionale sia in classe che in nerbo;
4 Platini è l’asso più completo e in più in stato di grazia oggi in circolazione al mondo;
5 la concentrazione è a livelli Barcellona-Madrid, per restare a parametri felicemente italiani;
6 lo scudetto perso né troppo presto né troppo tardi ha consentito di amministrare al meglio le
risorse fisiche;
7 la squadra esplode quest’anno personalità soprattutto in Coppa;
8 è una formazione che sa chiudere terribilmente (in difesa marca all’italiana) e aggredire
tempestosamente (attacca con più bocche da fuoco);
9 tolti Zoff, Gentile e Bonini, gli altri otto titolari sono tutti in grado di andare in gol, lo stopper
Brio compreso;
10 la folla di Atene sarà più italiana che tedesca o ateniese, L’arbitro romeno Rainea non è un quiz,
ma una vecchia non scorbutica conoscenza.
Tutto ciò fa un magma imperioso, difficile da arginare o da raffreddare. Qualcuno avverte, Pelè
compreso di passaggio in Germania, che l’Amburgo non è mai morto e che la Juve non ha ancora
vinto. Tutto sacrosanto e giusto, non si discute, ma bisogna anche aggiungere che – se non stavolta
– la Juve non ce la farà mai più, nemmeno convincendo la Federcalcio a dare il via libera
all’importazione di tre stranieri per squadra, come imporrebbero fra l’altro le norme della CEE (a
proposito, perché un presidente-leader non si rivolge all’alta corte di Bruxelles? Sarebbe un gioco
da ragazzi).

Ci sono momenti nella vita che o si colgono al volo o non tornano. La Juve ne vive uno di questi ed
ha il fisico del ruolo per non mancare finalmente all’appello, anche se i tedeschi sono sempre sotto
sotto arcisicuri che “Dio sia con loro”. Pur con tutte le difficoltà e le incognite di un evento anche
nervoso e sempre legato – come il calcio – a episodi spesso alla deriva come polveri stellari, la Juve
è vicina al terminal europeo.
Non è ottimismo patriottico questo, è realismo e speranza. E poi io sono platinista! Tifo Michel
perché è un esteta del football, diverte, gioca senza sputare, non ha nazionalità, è l’esperanto della
pedata, dà un senso al prezzo del biglietto o alle righe da scrivere. Magari i deutchen lo faranno
stramazzare nei tempi supplementari come in un memorabile match franco-tedesco al Mundial
1982, ma abbiamo l’obbligo morale di stare dalla sua parte, domani sera ad Atene, dichiarata
proprio qualche giorno fa città più inquinata dell’Europa Occidentale.
Se deve vincere il migliore, vinca la Juve. E Michel le grand.