1983 dicembre 5 – Conti lancia la sfida. Penzo illude la Juve: poi pari-spettacolo

1983 dicembre 5 – Conti lancia la sfida. Penzo illude la Juve: poi pari-spettacolo

Non è stata bella, ma quante cose sono successe! Forse bisognerà cambiare il criterio di giudizio
quando due grandi squadre s’incontrano con l’ossessione della classifica: sostituire all’occhio, al
gusto, all’estetica, il numero, il ritmo, l’avventura. Sotto questo aspetto il 2-2 è stato persino più
intenso del 3-3 di una settimana fa a Firenze. Dove passa la Juve ci si può aspettare di tutto fuorché
la noia.

Sotto un certo aspetto, è stata una partita anche occasionale, che ha mutato in campo le
masturbatorie premonizioni di un’intera settimana di tattiche. Ha cominciato Brio (13’), con una
fitta allarmante dietro il cosciotto: la sostituzione con Prandelli ha reso la difesa della Juve meno
programmata e meno piantata al centro, però le ha conferito maggiore agilità, più forza bruta a
ridosso del centrocampo.

La Roma, poi, con la distorsione di Ancelotti (30’), ha fatto un vero e proprio affare! Con tutto il
rispetto per il mediano di Liedholm e di Bearzot, la sua mezz’ora era apparsa quanto di più sbiadito
e impersonale che si potesse immaginare. Con Chierico la Roma ha funzionato molto meglio. Il
rosso della Garbatella ha dato movimento a tutto il settore destro, tanto che il lancio del finalissimo
2-2 appare un doveroso attestato del destino nei suoi confronti. Senza oltraggio per Liedholm, la
Roma migliore s’è vista dunque per un evento fortuito. Ma non è ancora la Roma che la gente si
aspettava quest’anno. Se soltanto si pensa che un mese fa ti chiedevano in televisione “La Roma ha
già ucciso il campionato?”, ci si renderà conto di come il rendimento di oggi rifletta un insondabile
male oscuro, un momento di disagio difficile da catalogare. L’unica motivazione seria che ho
ascoltato in questi tempi, ma l’ha suggerita Italo Allodi a Firenze, con il sospetto che Liedholm
abbia sacrificato i tempi di preparazione pre-campionato alla Coppa Campioni.

Hai un bel dire che Falcao si è sacrificato a Torino in un lavoro oscuro; che contro la Juve ha fatto il
vano centravanti per portarsi appresso l’avversario! Saranno trucchi di qualche utilità, non lo nego
proprio, ma da un Falcao o da un Platini ci si attende dell’altro o ben altro. Che siano cioè piedi
determinanti, che facciano leggere il copione ad altri, che insomma siano il sale dell’impasto.

A Massimo Giacomini non piace per esempio Falcao o, ad essere più precisi, non ne è un adoratore.
Ricordo che un giorno della scorsa estate, in pieno falcaismo dunque, il miglior tecnico disoccupato
d’Italia mi disse: “Ma non scherziamo, confondendo Zico con Falcao; ‘sto Falcao mi pare a volte un
cammello!”. Me ne sono ricordato ieri, qui in tribuna, dove l’andatura del brasiliano era troppo
normale per una partita così poco normale, che fortunatamente è stata giocata al sole, al freddo ma
non al gelo, su un campo più che accettabile.

Una partita che in un’ora ha visto quattro palle-gol, tre delle quali su punizione, di Penzo e di
Bartolomei. Quattro palle-gol con portieri molto in difficoltà e con salvataggi d’emergenza dei
terzini Bonetti e Prandelli. Quindi un match avaro e bloccato, concitato e pochissimo lineare.

Il panorama è davvero cambiato nel secondo tempo e non soltanto per il realizzarsi di quattro reti,
che potrebbero anche essere soltanto un evento statico. È cambiato anche il gioco, con una Roma
più insidiosa e meno arroccata, con una Juve più attenta in difesa che a Firenze e molto più
organizzata in rifinitura da quando Vignola ha preso il posto di Boniek (67’). Con entrambe le
squadre più portate all’iniziativa, anche l’arbitro ha potuto cavarsela meglio nonostante un curioso e
non piacevole incidente.

Appena rientrato dall’intervallo, Casarin è stato infatti raggiunto da una pallonata sparatagli da due
passi da Cerezo. Il tocco più preciso della partita dato che colpiva l’arbitro al millimetro, là dove
non si può per eleganza dire. Casarin ha tentato di resistere respirando a fondo ed estendendo i
muscoli ventrali, ma non ce l’ha fatta e ha dovuto chinarsi per riprendersi dal dolore mozzafiato.

Per un’ora di partita, la Juve aveva in fondo copiato la Roma, cercando trame serrate, difficili, che
si sovrapponevano alla ragnatela di Liedholm. Il risultato era stato di vedere una Juve appiattita
sulla specialità dell’avversario, quindi parecchio inconcludente e incapace di affondare
verticalmente. Nell’ultima mezz’ora, ciascuno è ritornato alla propria identità. La Roma prima per
vincere, poi per non perdere; la Juve prima per pareggiare, poi per vincere.

Come risultato ne è uscita una mezz’ora difficile da dimenticare per l’energia e il continuo variare
delle prospettive. Tra errori, rammarichi e stupefacenti invenzioni, il 2-2 ha riscattato in extremis
una partitissima che all’avvio ci era sembrata troppo piccola.