1980 ottobre 18 Cinque miliardi di fantasmi, ricordi, disillusioni pentimenti

1980 ottobre 18 – Cinque miliardi di fantasmi, ricordi, disillusioni, pentimenti
Metti una sera a cena con Paolo Rossi
«Sono stato rovinato dalla valutazione che mi diede Farina» – «É stato un errore non
gestire la mia quotazione» – Una settimana fa poteva essere ancora dell’Inter che lo
voleva per insegnare clacio nelle scuole: unesosa richiesta di Farina mandò tutto poi a
monte

Giovanni Pinarello, «vecchia gloria» del ciclismo trevigiano, mi chiede: «Quanto ha
voluto Paolo Rossi per la partita giocata a Castelfranco?».
– Nulla, gli rispondo. I quattro milioni incassati nonostante un cielo gonfio di pioggia
andranno metà ai bambini malformati di Vicenza, metà a quelli di Castelfranco.
– «Possibile?!», insiste Pinarello, gli occhi spalancati dallo stupore. E aggiunge:
«Pensavo che avesse chiesto mezzo milione per esibirsi. Ai nostri tempi, quando
partecipavamo a manifestazioni del genere, ci toccava un rimborso di dieci, venti
mila lire».
– No, nulla, ribadisco. Né Rossi, né Cerilli, né Filippi, né gli altri hanno voluto una
lira. Sennò che beneficienza sarebbe?
«Allora – conclude Pinarello – appena vedo Rossi mi complimenterò con lui».
Non siamo più abituati, questa è la verità, alle cose gratuite, fatte per mero piacere,
per divertimento o solidarietà. Tutto viene mercificato e, non appena ci s’imbatte in
qualcosa che non puzzi di lire, la meraviglia è grande, si tratti di Rossi Paolo o
dell’ultimo pinco pallino di calciatore.
Anche per questo ha perfettamente ragione Rossi quando, tra le bollicine di un
cartizze di Egidio Fior, confessa: «Io sono stato rovinato dalla valutazione che mi
diede Farina!».
La valutazione di 2.162 milioni per la metà che lo trasformò alcuni anni fa in uno
spropositato «Mister Cinque Miliardi», emblema di inflazione, azzardo e venalità.
Un’etichetta che deve aver pesato non poco al processo per le scommesse quando
Rossi diventò imputato-simbolo, il privilegio in carne e ossa, il tipo giusto per la
sentenza «esemplare» di una Federcalcio che, dopo pantani di negligenze e omissioni,
voleva dimostrare di «non guardare in faccia nessuno». Il signor Nessuno era Rossi,
mister cinque miliardi. Non servivano prove, bastava un indizio a fregarlo.
«Tutti i miei problemi – mi rincara Rossi – hanno origine da quella cifra di mercato. E
pensare che io non ho mai chiesto nulla a Farina; non sapevo le cifre che mi
riguardavano; pensavo che fosse legittimo diritto del Vicenza monetizzare il mio
valore».
– Sembri pentito di non aver gestito direttamente, o almeno controllato, la tua
quotazione.
«Lo sono. É stato un errore».
– Quando te ne sei reso conto?
«Quando ho sentito la splendida arringa del mio avvocato Dean, e ho avuto la netta
sensazione che nulla, per nessuna ragione, si sarebbe spostato di una sola unghia».
Fantasmi record, disillusioni, pentimenti, rivolta verso qualche cobra federale
specialista in sputtanamenti. Paura anche: paura che il processo penale slitti a febbraio
e allontani nel tempo la possibilità di un’assoluzione «perché il fatto non sussiste».
Dispositivo di sentenza che consentirebbe di chiedere la revocazione della squalifica
per ora fissata fino all’aprile del 1982. Un’assoluzione di quel tipo dimostrerebbe
infatti che la condanna pronunciata dalla Caf fu un errore giudiziario.
La vita di Rossi è questa, senza football. Una società gestita assieme a Giancarlo
Salvi, regista del «Real Vicenza» di Gibì Fabbri. Il pool di articoli sportivi al 50% con

Gustavo Thoeni: azienda dove, a Vicenza, lavora anche la morosa di Rossi,
Simonetta.
Gli hanno proposto di scrivere un libro: «Le mie scommesse! Potrei chiamarlo»,
sorride Rossi con una guancia sola, scuotendo la testa come per dire che quel
bruttissimo pasticciaccio ha finito per penalizzarlo quanto le «sue prigioni».
Una vita che, sul piano pubblico, non ha tuttavia cambiato nulla. Per la quasi totalità
dei mass-media è innocente. E tale è per 9 persone su 10. Basta guardare mentre
cammina per le calli di Venezia o mentre sfila tra la gente di Castelfranco: l’approccio
è sempre lo stesso, grande popolarità, una curiosità persino asfissiante, le solite
tempeste di autografi, gli affettuosi «Pablito», le strette di mano, nessun sarcasmo.
C’è una sentenza della Caf passata in giudicato che lo condanna con un’accusa
infamante, la peggiore per un professionista, ma nessuno se ne dà per convinto. Se in
Italia esiste un problema di sfiducia nelle istituzioni, questo di Rossi è un esempio
didascalico, perfetto. Si giudica attraverso intuizione personale, non attraverso
sentenze. É una giustizia privata, d’istinto, che fa strame di indizi e perplessità.
Poi c’è l’altro Rossi, il Rossi campione, quello per ora in archivio. Guido Mammi,
allenatore del Padova, è arrossito come una verginella dei romanzi di Liala quando ha
visto l’1-0 di Rossi a Castelfranco. Un rossore tecnico, naturalmente.
«Lo avesse fatto in serie A – diceva il tecnico – sarebbe diventato il gol dell’anno».
Lancio di Salvi, finta di Rossi e battuta di pieno collo, al volo, nel sette.
Mi chiede una signora: ma perché è bravo Rossi?
«Perché gioca tutto il football» le rispondo.
Che giochi in Nazionale o per beneficienza, è sempre lui, essenziale, tecnico,
manovriero. «Ho fatto il gol e servito a Cerilli le altre due reti» – è lo stesso Rossi a
farmelo notare strizzando l’occhio – «Insomma segno e faccio segnare». Lo sussurra
divertito, fisicamente asciutto come sempre, tirato quanto Filippi che sogna il Brescia
(o l’Atalanta) e quanto Cerilli che sogna l’Udinese.
Proprio per questa sua capacità di accendere gioco altruista e di prima, l’Inter ha
tentato per dei mesi di acquistarlo nonostante la squalifica. Voleva allenarlo ad
Appiano Gentile, usarlo per insegnare calcio ai bambini delle scuole e, scontata la
pena, mettergli addosso la maglia numero 9 o 8 o 7, tanto che differenza fa per uno
che ha cervello e piede? L’acquisto è fallito giorni fa per le lire: ancora troppe,
enormemente troppe, quelle chieste da Farina che vede in Rossi l’ultima possibilità di
salvare il Vicenza dal collasso finanziario.
La Caf ha reso clandestina la vita agonistica di Rossi. Quella tecnica no. Questa ci
pensa la Nazionale a tenerla intatta come non mai, visto che ogni iattura di Bearzot è
in fondo cominciata lì, da quella maglia svuotata di centravanti e di gioco. Forse per
tale ragione Rossi resta magnanimo con il Ct: «Il vero imputato – dice – è la mentalità
avara del nostro calcio».
E Paolo Rossi ributta giù un biondo cartizze. Bollicine di malinconia e rabbia.