1980 Olimpiade di Mosca. Boicottaggio in Russia. 81 paesi al posto di 130

1980 Olimpiadi Mosca [Boicottaggio: in Russia 81 paesi al posto di 130]

In settembre a Madrid si terrà la conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa: è da
cinque anni che esiste, da quando a Helsinki furono presi accordi che l’Urss diede l’impressione di
sottoscrivere per il gusto di trasgredirli. Si è chiesto Reagan, candidato repubblicano alla Casa
Bianca “che senso ha mandare diplomatici a Madrid quando non si mandano atleti a Mosca?”.

Mosca, atleti, Mosca, olimpiadi, Mosca, Afghanistan, Mosca, Sacharov, “è amorale andare a
Mosca”, disse un mese fa il grande violoncellista russo, Rostropovich, in esilio a Parigi. Non si
voleva boicottare la olimpiade, si voleva far pagare qualcosa a Breznev. Negli annali del
movimento olimpico entra una creatura bastarda, figlia di troppi padri interessati. Se lo scopo del
boicottaggio era soprattutto far ricordare, non c’è dubbio che tutti ricorderanno.

Da Mosca ognuno ha scritto come e quando ha voluto. Un giorno Popov ammonì i giornalisti:
“scrivete di sport, lasciate perdere il resto”. Ma al cartellino giallo non è seguito il cartellino rosso
della espulsione. Chi, per caso di coscienza, intendeva non far scordare mai perché ci fossero 81
paesi al posto di 130, ha potuto farlo, senza censura, né telefonica, né di telex, né di infotec.

Conoscendo l’ottusità del potere totalitario, dev’essere costato molto ai sovietici non raccogliere
la sottile provocazione di chi a tutti i costi sognava l’incidente sul lavoro dell’organizzazione. Che
non c’è stato. Anche se Hendrick Smith scrive nel suo “The Russians” premio Pulitzer, che non
esiste nel vocabolario della lingua russa il termine “efficienza” e che, per introdurlo, si è dovuto far
ricorso all’inglese, l’apparato, la disciplina che viene dall’alto hanno rimediato a pigrizia e disordine.
Riducendo drasticamente in numero di turisti, atleti, dirigenti, giornalisti, il boicottaggio è stato
oltre tutto provvidenziale nell’evitare ingorghi o tilt organizzativi. Quanto agli infortuni di tipo
“politico”, che cosa poteva accadere mai se un omosessuale italiano non ha fatto in tempo, sulla
Piazza Rossa, nemmeno ad aprir bocca che era già impacchettato? E chi ha mai visto arrivare la
strombazzata edizione satirica della “Pravda” annunciata dal “Male”?

L’Olimpiade di Mosca è stata anche questo tiro di fune, i giochetti di parte, le parassitarie
briciole del vero cosmico gioco, l'”odio-amore” tra le due superpotenze. L’altra sera allo stadio
Lenin centinaia di giovani del favoloso mosaico umano sono riusciti, con movimento incredibile di
cartoni colorati, a simulare una lacrima dell’orsetto Misha: forse una lacrima… americana, di
nostalgia, inconsapevole sottolineatura del posto vuoto a tavola.

Anch’io faccio la mia microscopica cerimonia di chiusura, con questo ultimo pensiero in
cirillico. Pensieri erano, non sentenze: umori, non assodata verità. Con la valigetta 24 ore appresso
si scoprono i paesi, al massimo li si intuisce, con l’inevitabile rischio di tremende gaffes. Con il
rischio ancora peggiore, di esser giunti qui con la valigia carica di pregiudizi e di opinioni già
passati in giudicato.

Ho provato a non fare il boicottaggio dell’informazione, a battere tutti i tasti della mia portatile
evitando di raccontare l’olimpiade “par omission”, come la chiamarono a luglio i francesi. A
contatto con l’homo burocraticus sovietico mi sarei vergognato di fare la mia piccola, nevrastenica
guerra fredda del sarcasmo. Ho troppa consapevolezza della straordinaria complessità dei problemi
per sentenziare di frodo.