1980 novembre 25 Il lutto e noi

1980 novembre 25 – Il lutto e noi

Patrizio Oliva l’avevo incontrato l’altro lunedì, a Castelfranco. Era stato ad Asolo
perché era lui, magnifico pugile all’Olimpiade, l’«atleta d’oro» del 1980. Così come a
Mosca, mi aveva fatto la solita raccomandazione, immagino rivolta ad altri
giornalisti: «Mandami gli articoli e le foto pubblicate, a Poggioreale tengo la
raccolta di tutto».
Nero di capelli, d’occhi e di foltissime sopracciglia, Oliva era per tutto il resto
luminoso. Simpatico come sempre. Mi diede anche l’indirizzo di casa: «Via Stadera
76, Napoli».
Domenica sera, in quel terribile minuto, al numero 195 di via Stadera un grattacielo di
nove piani si chinò su se stesso, mischiando tanto cemento e non si sa ancora quante
persone.
Ieri mattina abbiamo provato a telefonare a Napoli, senza riuscirci. Ci era rimasto
addosso quell’indirizzo come un incubo; poi, alle 15 e 51, ci è giunto sul tavolo di
redazione un flash dell’agenzia Ansa: «La riunione di pugilato di Roma, che doveva
svolgersi giovedì sera, è stata rinviata di una settimana per permettere a Patrizio Oliva
di ritrovare un po’ di serenità dopo lo spavento e il disagio sofferti per il terremoto.
La casa di Oliva ha subito lesioni e il pugile con la sua famiglia ha trascorso la nottata
per strada».
Questa briciola di angoscia ci aiuta a non isolare lo sport. Che, anzi, conosce
benissimo il lutto e sa portarlo proprio perché lo sport quale lo intendiamo noi, lo
sport di tutti non lo sport d’élite, non è un filastrocca di risultati, di exploit, di
campionati e di atleti, ma prima di tutto un momento di solidarietà, di amicizia, di
stare assieme con lealtà: per darci una mano a essere migliori, a crescere dentro, a
dare la precedenza alle cose che si sentono sulle cose che si hanno.
Povera gente del Sud, sulla quale si sono sempre abbattuti terremoti di ogni genere,
d’indifferenza, di abbandono, d’emigrazione, terremoti da scala Mercalli e da
emarginazione. Gente di Campania, cui servono anche i miti del Napoli «da scudetto»
o dell’Avellino «da salvezza» per campare di quattro botti domenicali, caricati di
allegra voglia di dimenticare. Facce contadine di Basilicata, di una secolare e mai
scalfita dignità. Chi alimenta lo sport senza fraintenderlo si sente ben dentro il lutto
nazionale.
É il lutto che fu del Friuli. Come allora, ora arrivano dal Sud le immagini di campi
sportivi trasformati in tendopoli, perché soltanto il cielo non ti può franare addosso.
Sono le immagini che erano del Friuli. Ma vennero presto dal Friuli anche altre
immagini: le piccole società che ricostruivano i piccoli impianti; un dirigente che,
giunto a Udine per piantare una grande cucina da campo, finì con il dedicarsi
all’Udinese; un giro ciclistico che attraversò le macerie di Gemona come primo
restauro della speranza: «il giro della volontà e del coraggio» fu chiamato.
C’è una mobilitazione che ci tocca tutti e scalfisce anche le coscienze più opache.
L’onda nera del terremoto che almeno lasci un segno distante, misteriosamente
buono, una solidarietà di massima magnitudine.