1980 dicembre 28 Una giustizia senza paura

1980 dicembre 28 – Una giustizia senza paura

Dal 1898 mai s’era visto un campionato tanto balordo. Già la nazionale lo fa giocare a
singhiozzo; ora arriva il «Mundialito» e per quindici giorni non se ne parlerà più:
soltanto gli inglesi, padri fondatori del football, hanno preferito tutelare la continuità
del loro campionato a costo di essere gli unici assenti al festival amichevole di
dopodomani in Uruguay. Anche lo «splendido isolamento» è una tradizione Made in
England.
Non bastasse, il campionato vive molto precariamente tra una sentenza e l’altra del
calcio-scommesse, Tutto è precario, soprattutto il domani. Per rendereste conto basta
pensare alle reazioni del dopo-assoluzione.
Gli avvocati dei giocatori annunciano già le richieste di revocazione ai giudici del
calcio, in tal caso la Caf presieduta da Alfonso Vigorita. Negli «ambienti» di
Coverciano si parla di condono. Da molte parti si fa strada l’ipotesi di un’amnistia,
sulla quale la Federcalcio stava da tempo lavorando in via clandestina.
Questo è il fronte innocentista o, perlomeno, il partito della clemenza. Ma, accanto, si
radica il partito colpevolista, il fronte del rifiuto ad ogni pur minima modifica delle
sentenze inflitte l’estate scorsa dalla giustizia sportiva. Stando all’inquisitore Corrado
De Biase, il dibattimento penale potrebbe anzi essere usato per contestare nuovi reati
sportivi.
Il caso più esplicito riguarda in tal senso Gianni Rivera, per aver ammesso davanti al
tribunale di Roma di essere a conoscenza dell’«illecito» del Milan a di aver
«preferito» ignorarlo. Gli saranno contestate l’omessa denuncia e dichiarazioni «non
veritiere».
Il nodo è sempre lo stesso e strattona assieme, a volte per assimilarle a volte per
contrapporle, le due giustizie, la sportiva e la penale.
É un problema talmente aperto che spacca anche gli addetti ai lavori, ponendo in
conflitto le tesi di illustri magistrati, di giuristi.
La nostra opinione è questa. Allo scoppio dello scandalo, chiedemmo il massimo del
rigore nelle pene. Dopo le condanne ci opponemmo fermamente alle ipotesi di
amnistia anche a costo di coinvolgere giocatori che, come Paolo Rossi, ritenevamo
innocenti. Crediamo nell’autonomia della giustizia sportiva. Sappiamo benissimo che
essere «assolti» non significa essere «innocenti» in campo. Pur tuttavia, in uno Stato
di diritto, non ci sembra lecito scartare a priori tutto di una sentenza sportiva. É anche
arbitrario separare il cittadino dal calciatore proprio perché l’espressività del cittadino
si traduce proprio nel lavoro, in questo caso lavoro di calciatore.
In Inghilterra le motivazioni della sentenza le conosceremmo già. In Italia, patria del
diritto, c’è da aspettare un mese, forse due: ma quel giorno, con il dispositivo in
mano, bisognerà pur concedere a ogni calciatore la possibilità di sfruttare tutti gli
elementi capaci di precisare meglio il suo illecito sportivo.
Bisognerà farlo, globalmente o caso per caso, senza preconcetti. Se la giustizia
sportiva avrà paura di vagliare il possibile contributo di «prove» del Tribunale di
Roma, darà testimonianza di debolezza e, alla lunga, vedrà arretrare la propria
autonomia. É già accaduto più volte.