1980 aprile 28 Pablito Rossi no, no tu no

1980 aprile 28 – Pablito Rossi no, no tu no

Accadde a Vietri, alla vigilia di Avellino-Perugia. Della Martira del Perugia chiamò
Paolo Rossi e gli presentò due persone: erano due scommettitori clandestini, Cruciani
e Bartolucci.
Nella deposizione di tutti gli interrogati, ci sono tre fatti che coincidono: nessuno
parlò di denaro, di pareggio si parlò alla stregua di mera ipotesi, Rossi stava giocando
a tombola e, conosciuti i due, se ne tornò a giocare a tombola.
La tombola. Nello scandalo del gioco d’azzardo, degli allibratori proibiti, degli
assegni, delle puntate al telefono, dei ritiri di lusso, entra la tombola, sommessa
quanto la scarpina perduta da Cenerentola.
Quel gioco evoca un mondo di emozioni tanto distanti da sembrare archeologia. La
tombola delle veglie, delle cartelline distribuite come speranza, dei sassolini o del
granoturco sgranati in mano a deporre numeri allegri e concitati. La tombola quale
momento di aggregazione, direbbero oggi.
«Fui avvicinato mentre giocavo a tombola…» racconta Paolo Rossi al magistrato e
non trovo, in tanto fiume di parole ambigue e appiccicose, una circostanza meglio
aderente al Rossi che io conosco.
Rossi è un campione da trecento milioni all’anno, ma di questo non porta colpa.
Guadagna troppo per quel che è soltanto perché così vuole il perverso meccanismo di
una società che fa dell’esibizione pubblica un gran mercato. La legge biblica vietava
di riprodurre in immagine un uomo, finché vivente; la legge della concorrenza non
risparmia all’uomo nemmeno un fotogramma, né da vivo né da morto, come sta
sperimentando Marilyn Monroe sui rotocalchi.
Ma il Rossi che io conosco mi ha sempre dato l’impressione di essersi letto almeno
Erich Fromm, e di aver capito che l’uomo non «è» ciò che «ha». Rossi ha saputo
parlare di Dio in televisione. Collabora ai giornali per versarne il ricavato a un centro
di assistenza per i giovani. Non investe una lira senza passare attraverso i genitori.
mantiene ancora oggi corrispondenza con il suo vecchio collegio cattolico di Firenze.
È corretto in campo; professionista leale; dignitosamente uomo-manifesto.
No, questo Paolo Rossi non può, non deve aver corrotto se stesso, né per due milioni
né per cento. Per riuscirci, dovrebbe possedere una dose di ipocrisia e di avidità senza
fine. Una dose che non sono mai riuscito a leggergli nello sguardo.